Dell’impatto dirompente e rivoluzionario che i Beatles hanno avuto sulla musica del ventesimo secolo e sulla cultura pop in generale si è già scritto e detto abbastanza per non rischiare di essere ridondanti. Per quanto riguarda l’elaborazione del lutto relativo al loro scioglimento ci si era affidati finora a quasi cinquant’anni di leggende apocrife, interpretazioni di parte e, più in generale, allo sconforto generato dall’idea che un ensemble tanto prolifico, dall’aura semidivina, potesse capitolare a causa di dinamiche fin troppo umane.
A consegnare ai posteri la versione autografa della fine ci ha pensato Peter Jackson (la trilogia de Il Signore degli Anelli) con lo speciale Get Back, per Disney Plus. Prodotta, tra gli altri, dai Beatles superstiti e dalle vedove degli scomparsi, la miniserie riesce pienamente nel compito di spezzare il cuore ai fan per un lutto che molti di loro non hanno mai neanche vissuto, raccontando le travagliate sessioni in studio della band nel gennaio 1969. I quattro di Liverpool si riuniscono in studio per lavorare a nuove canzoni e a uno spettacolo che dovrà prima essere uno speciale televisivo, poi un concerto, e che invece finirà per essere un album praticamente postumo (Let It Be), uscito nel maggio 1970 quando allo scioglimento mancava ormai solo l’ufficialità.
In tre episodi da 120 minuti circa, dolorosi e appaganti per gli appassionati quanto una versione musicale di Marriage Story di Noah Baumbach, i Fab Four si mostrano ben oltre la loro linea d’ombra personale, alla soglia dei trent’anni e lontani da divise di scena e capelli a scodella, molto più presi da sé stessi che dalle scadenze di gruppo che nessuno, a turno, condivide appieno.
Il ritratto che ne viene fuori è quello di una band che tenta di trovare nuova energia tornando alle proprie radici musicali, ma che in realtà dimostra un’urgenza feroce di aprirsi a nuovi stimoli, soprattutto esterni, destinati tuttavia a essere perlopiù negati, almeno finché sono insieme.
A Paul McCartney, spinta conservatrice del quartetto, spetta il ruolo della figura genitoriale, vagamente tirannica, incline a dettare quasi nota per nota gli arrangiamenti che desidera per pezzi scritti prevalentemente da lui. Indispettito dai ritardi degli altri, freddino nei confronti di Yoko Ono, che percepisce come una presenza invadente in studio, ossessionato dal tenere sotto controllo ogni aspetto creativo del lavoro, prova a trainare i compagni con fare carismatico ma, francamente, molto più ingombrante di quanto possa risultare la futura signora Lennon. Ringo Starr, vero collante del gruppo, se ne sta prevalentemente mogio in un angolo, talvolta sonnecchia, intristito dalle tensioni generali, altre volte viene ripreso dalle telecamere mentre manda giù grossi rospi per amore della pace.
George Harrison appare come il più insofferente: sottovalutato come autore dal duo principale, non risparmia frecciate al veleno e addirittura lascia la band per qualche giorno, salvo poi tornare per finire il lavoro grazie alla mediazione di Ringo e John, a cui confessa che sta preparando un album solista (spoiler: All Things Must Pass sarà non solo l’album di un ex-Beatle a vendere di più, ma anche il migliore post-scioglimento a detta della critica).
Lennon si mantiene frizzante di suo: dispensa oscenità irresistibili e regala alla camera vere e proprie vette di istrionismo. Il fatto che non si separi mai da Yoko incide sul suo zelo e sulla sua puntualità, ma non sul suo apporto creativo e soprattutto sul suo smalto: si percepisce il suo entusiasmo nel tornare alle radici rock’n roll dopo tre anni buoni di sperimentazione e sofisticate sovraincisioni. Col senno di poi, la storia sembra avergli dato ragione: la presenza costante del suo nuovo amore regala alla camera momenti di invidiabile intesa e sentimento, ma non sembra in alcun modo spingerlo lontano dai suoi compagni a livello di intesa.
Il turning point preferito di chi scrive è il momento in cui John e George suggeriscono a Paul di ufficializzare il talentuoso e salvifico turnista Billy Preston (già pianista per Little Richard e Ray Charles) come quinto Beatle, e magari di allargare il gruppo in vista di collaborazioni future. Paul risponde che “no, è già difficile andare avanti in quattro”. Di certo senza McCartney e la sua spinta produttiva (dopo la morte del manager Brian Epstein nel 1967 fu lui a farsi carico della leadership de facto del gruppo) avremmo avuto meno album dei Beatles, ma è lecito domandarsi se, con un approccio diverso rispetto al desiderio di stimoli esterni da parte degli altri, non avremmo potuto goderci qualche anno di Beatles in più.
Nonostante Lennon appaia come la figura più elastica e per certi versi spensierata, il documentario ci mostra come sia stato lui a mettere l’ultimo, inconsapevole chiodo sulla bara del gruppo, proponendo Allan Klein come nuovo manager. La gestione finanziaria di Klein, figura controversa, sancirà off camera la definitiva rottura tra McCartney e gli altri tre, nonché anni di cause giudiziarie che impediranno una definitiva riconciliazione in termini perlomeno musicali. D’altra parte, quello che vale per noi comuni umani vale anche per i Fab Four: quando arriva davvero la fine di un amore, ognuno vi prende fatalmente parte a dispetto delle proprie buone intenzioni.
A questo proposito, spezza letteralmente il cuore la scena in cui i quattro leggono divertiti e sprezzanti gli articoli dei giornali scandalistici che profetizzano il loro imminente scioglimento, ad alta voce mentre improvvisano dei tappeti musicali di rock’n roll energico e vitale, come a volerli sminuire.
Le note più felici sono riservate al famoso concerto sul tetto degli Apple Corps in una Londra grigia e abbottonata, prova che davvero, come annunciato dallo stesso Lennon durante i momenti di tensione precedenti, quando la band si metteva a suonare davvero, “tutto cambiava intorno”. La storia dell’ultima esibizione live del più famoso e importante gruppo musicale al mondo è esemplare proprio perché, paradossalmente, è molto affine a quella di ogni relazione umana prossima alla fine: quando l’evoluzione dell’uno lascia a un bivio quella dell’altro, quando si smette di crescere insieme, ogni momento di splendore rimasto, pur vibrando della forza viva del presente, irradia già il tepore malinconico della nostalgia.
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico
La Redazione
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "In un mutato e minaccioso quadro internazionale, il piano Ue per la difesa è per i Socialisti e Democratici europei un primo importante passo per assicurare il necessario sostegno all’Ucraina e la sicurezza dei nostri cittadini. A Bruxelles siamo al lavoro perché dal Parlamento venga una spinta forte nella direzione della condivisione e del coordinamento degli investimenti, verso una vera difesa comune europea". Lo scrive sui social l'eurodeputato Pd, Giorgio Gori.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "La linea del Partito Socialista Europeo è chiara, netta ed inequivocabile: il ReArm Europe è un atto iniziale importante per la creazione di una difesa comune europea". Lo scrive la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno del Pd, sui social.
"Non c’è nessuna rincorsa bellicista, nessuna distruzione del welfare e di quanto con fatica abbiamo costruito dopo la pandemia ma solo la necessità di rendere più sicuro il nostro continente e le nostre democrazie. Cosi come fu per il NextGenerationEu siamo davanti ad una svolta storica per l’Unione Europea che punterà su indipendenza strategica, acquisti comuni e innovazione".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - “Per la difesa europea servono investimenti comuni in sicurezza, una sola politica estera, economia forte e società coesa, serve un vero salto di qualità verso gli Stati Uniti d’Europa. Di fronte alle minacce che si profilano bisogna sostenere le nostre capacità di difesa nel modo più credibile, senza frammentare le spese tra gli Stati e neanche dando ancora soldi all’America come vorrebbe Trump. Il punto di vista portato dalla segretaria Schlein al vertice del Pse è stato ascoltato ed è positivo l’accordo dei socialisti europei sui fondi di coesione. Il Pd indica una strada di fermezza, consapevolezza e responsabilità sociale, senza farsi distrarre da alcun richiamo”. Lo dichiara Debora Serracchiani, componente della segreteria nazionale del Partito democratico.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Decidere maggiori investimenti per rendere più sicuro e protetto il nostro continente è una scelta non più rinviabile. La difesa europea è un pilastro fondamentale della nostra autonomia strategica. Non possiamo avere tentennamenti su questo obiettivo. La discussione non è sul se, ma sul come arrivarci". Così Alessandro Alfieri, capogruppo Pd in commissione Esteri e Difesa a Palazzo Madama.
"In questi giorni i nostri a Bruxelles stanno facendo un lavoro prezioso per evitare che si utilizzino i fondi di coesione per finanziare spese militari e per incentivare, attraverso gli strumenti europei vecchi e nuovi, le collaborazioni industriali e gli acquisti comuni fra Paesi Europei, l’interoperabilità dei sistemi e i programmi sugli abilitanti strategici (spazio, cyber, difesa aerea, trasporto strategico). In questo quadro, va salutato positivamente che dopo il Next Generation si consolidi l’idea di emettere debito comune per finanziare un bene pubblico europeo come la difesa".
"Anche perché sarà per noi meno complicato continuare la nostra battaglia per estenderlo agli altri pilastri dell’autonomia strategica, a partire dalle politiche per accompagnare la transizione ecologica e digitale. Un passo importante quindi, come sottolineato dal nostro gruppo a Bruxelles, a cui certamente ne dovranno seguire altri se si vuole davvero rafforzare la nostra difesa comune”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "L’Unione Europea si trova a un bivio: o si presenta unita o rischia la marginalità politica. La guerra in Ucraina, e l’attuale voltafaccia americano, hanno reso evidente l’urgenza di una politica di difesa comune che non può essere frenata dagli interessi delle singole nazioni". Così l'eurodeputato Pd, Pierfrancesco Maran. "Una Difesa progressivamente comune perché, agendo come 27 eserciti nazionali, rischiamo l’impotenza".
"Oggi è necessario un passaggio di fase che aumenti gli investimenti volti a garantire una deterrenza da nuova aggressioni russe dopo il disimpegno americano ma anche a rendere più omogenea la difesa europea, con forniture simili, riducendo le duplicazioni di spese tra paesi e le inefficienze. L’Unione Europea deve dotarsi di una propria architettura di sicurezza, capace di garantire responsività e affermarsi come attore decisivo nello scenario internazionale".
"L’iniziativa della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al di là del nome infelice 'RearmEU', è un primo passo in questa direzione. Va tuttavia integrata e sviluppata identificando con chiarezza quali sono le linee di spesa utilizzate, in che modo questo aiuto può supportare immediatamente l’Ucraina, come si intende sostenere una crescente produzione industriale europea nell’ottica di arrivare ad una vera interoperabilità e difesa comune".
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "Penso che sia l’ennesimo episodio di antisemitismo che vuole legare la guerra in Medio oriente all’insulto alla memoria della Shoah. È terribile". Lo dice all'Adnkronos il segretario di Sinistra per Israele Emanuele Fiano a proposito del ritrovamento nel cantiere del museo della Shoah a Roma di escrementi, una testa di maiale e scritte che ricordano i morti a Gaza oltre ad alcuni volantini pro Palestina sono. Sull'episodio indaga la Digos.
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "La sinistra". Lo scrive su Twitter il senatore del Pd Filippo Sensi rilanciando un post di Pedro Sanchez in cui, a margine del Consiglio europeo straordinario, il premier spagnolo tra l'altro dice: "Oggi dobbiamo mandare un messaggio chiaro ai cittadini: l’Europa è molto più potente di quanto pensiamo. Nessuno minaccerà la nostra pace, la nostra sicurezza o la nostra prosperità".
Simone Vacatello
Giornalista, autore, narratore
Musica - 1 Dicembre 2021
Beatles, la miniserie ‘Get Back’ spezza il cuore
Dell’impatto dirompente e rivoluzionario che i Beatles hanno avuto sulla musica del ventesimo secolo e sulla cultura pop in generale si è già scritto e detto abbastanza per non rischiare di essere ridondanti. Per quanto riguarda l’elaborazione del lutto relativo al loro scioglimento ci si era affidati finora a quasi cinquant’anni di leggende apocrife, interpretazioni di parte e, più in generale, allo sconforto generato dall’idea che un ensemble tanto prolifico, dall’aura semidivina, potesse capitolare a causa di dinamiche fin troppo umane.
A consegnare ai posteri la versione autografa della fine ci ha pensato Peter Jackson (la trilogia de Il Signore degli Anelli) con lo speciale Get Back, per Disney Plus. Prodotta, tra gli altri, dai Beatles superstiti e dalle vedove degli scomparsi, la miniserie riesce pienamente nel compito di spezzare il cuore ai fan per un lutto che molti di loro non hanno mai neanche vissuto, raccontando le travagliate sessioni in studio della band nel gennaio 1969. I quattro di Liverpool si riuniscono in studio per lavorare a nuove canzoni e a uno spettacolo che dovrà prima essere uno speciale televisivo, poi un concerto, e che invece finirà per essere un album praticamente postumo (Let It Be), uscito nel maggio 1970 quando allo scioglimento mancava ormai solo l’ufficialità.
In tre episodi da 120 minuti circa, dolorosi e appaganti per gli appassionati quanto una versione musicale di Marriage Story di Noah Baumbach, i Fab Four si mostrano ben oltre la loro linea d’ombra personale, alla soglia dei trent’anni e lontani da divise di scena e capelli a scodella, molto più presi da sé stessi che dalle scadenze di gruppo che nessuno, a turno, condivide appieno.
Il ritratto che ne viene fuori è quello di una band che tenta di trovare nuova energia tornando alle proprie radici musicali, ma che in realtà dimostra un’urgenza feroce di aprirsi a nuovi stimoli, soprattutto esterni, destinati tuttavia a essere perlopiù negati, almeno finché sono insieme.
A Paul McCartney, spinta conservatrice del quartetto, spetta il ruolo della figura genitoriale, vagamente tirannica, incline a dettare quasi nota per nota gli arrangiamenti che desidera per pezzi scritti prevalentemente da lui. Indispettito dai ritardi degli altri, freddino nei confronti di Yoko Ono, che percepisce come una presenza invadente in studio, ossessionato dal tenere sotto controllo ogni aspetto creativo del lavoro, prova a trainare i compagni con fare carismatico ma, francamente, molto più ingombrante di quanto possa risultare la futura signora Lennon. Ringo Starr, vero collante del gruppo, se ne sta prevalentemente mogio in un angolo, talvolta sonnecchia, intristito dalle tensioni generali, altre volte viene ripreso dalle telecamere mentre manda giù grossi rospi per amore della pace.
George Harrison appare come il più insofferente: sottovalutato come autore dal duo principale, non risparmia frecciate al veleno e addirittura lascia la band per qualche giorno, salvo poi tornare per finire il lavoro grazie alla mediazione di Ringo e John, a cui confessa che sta preparando un album solista (spoiler: All Things Must Pass sarà non solo l’album di un ex-Beatle a vendere di più, ma anche il migliore post-scioglimento a detta della critica).
Lennon si mantiene frizzante di suo: dispensa oscenità irresistibili e regala alla camera vere e proprie vette di istrionismo. Il fatto che non si separi mai da Yoko incide sul suo zelo e sulla sua puntualità, ma non sul suo apporto creativo e soprattutto sul suo smalto: si percepisce il suo entusiasmo nel tornare alle radici rock’n roll dopo tre anni buoni di sperimentazione e sofisticate sovraincisioni. Col senno di poi, la storia sembra avergli dato ragione: la presenza costante del suo nuovo amore regala alla camera momenti di invidiabile intesa e sentimento, ma non sembra in alcun modo spingerlo lontano dai suoi compagni a livello di intesa.
Il turning point preferito di chi scrive è il momento in cui John e George suggeriscono a Paul di ufficializzare il talentuoso e salvifico turnista Billy Preston (già pianista per Little Richard e Ray Charles) come quinto Beatle, e magari di allargare il gruppo in vista di collaborazioni future. Paul risponde che “no, è già difficile andare avanti in quattro”. Di certo senza McCartney e la sua spinta produttiva (dopo la morte del manager Brian Epstein nel 1967 fu lui a farsi carico della leadership de facto del gruppo) avremmo avuto meno album dei Beatles, ma è lecito domandarsi se, con un approccio diverso rispetto al desiderio di stimoli esterni da parte degli altri, non avremmo potuto goderci qualche anno di Beatles in più.
Nonostante Lennon appaia come la figura più elastica e per certi versi spensierata, il documentario ci mostra come sia stato lui a mettere l’ultimo, inconsapevole chiodo sulla bara del gruppo, proponendo Allan Klein come nuovo manager. La gestione finanziaria di Klein, figura controversa, sancirà off camera la definitiva rottura tra McCartney e gli altri tre, nonché anni di cause giudiziarie che impediranno una definitiva riconciliazione in termini perlomeno musicali. D’altra parte, quello che vale per noi comuni umani vale anche per i Fab Four: quando arriva davvero la fine di un amore, ognuno vi prende fatalmente parte a dispetto delle proprie buone intenzioni.
A questo proposito, spezza letteralmente il cuore la scena in cui i quattro leggono divertiti e sprezzanti gli articoli dei giornali scandalistici che profetizzano il loro imminente scioglimento, ad alta voce mentre improvvisano dei tappeti musicali di rock’n roll energico e vitale, come a volerli sminuire.
Le note più felici sono riservate al famoso concerto sul tetto degli Apple Corps in una Londra grigia e abbottonata, prova che davvero, come annunciato dallo stesso Lennon durante i momenti di tensione precedenti, quando la band si metteva a suonare davvero, “tutto cambiava intorno”. La storia dell’ultima esibizione live del più famoso e importante gruppo musicale al mondo è esemplare proprio perché, paradossalmente, è molto affine a quella di ogni relazione umana prossima alla fine: quando l’evoluzione dell’uno lascia a un bivio quella dell’altro, quando si smette di crescere insieme, ogni momento di splendore rimasto, pur vibrando della forza viva del presente, irradia già il tepore malinconico della nostalgia.
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Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
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Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "In un mutato e minaccioso quadro internazionale, il piano Ue per la difesa è per i Socialisti e Democratici europei un primo importante passo per assicurare il necessario sostegno all’Ucraina e la sicurezza dei nostri cittadini. A Bruxelles siamo al lavoro perché dal Parlamento venga una spinta forte nella direzione della condivisione e del coordinamento degli investimenti, verso una vera difesa comune europea". Lo scrive sui social l'eurodeputato Pd, Giorgio Gori.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "La linea del Partito Socialista Europeo è chiara, netta ed inequivocabile: il ReArm Europe è un atto iniziale importante per la creazione di una difesa comune europea". Lo scrive la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno del Pd, sui social.
"Non c’è nessuna rincorsa bellicista, nessuna distruzione del welfare e di quanto con fatica abbiamo costruito dopo la pandemia ma solo la necessità di rendere più sicuro il nostro continente e le nostre democrazie. Cosi come fu per il NextGenerationEu siamo davanti ad una svolta storica per l’Unione Europea che punterà su indipendenza strategica, acquisti comuni e innovazione".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - “Per la difesa europea servono investimenti comuni in sicurezza, una sola politica estera, economia forte e società coesa, serve un vero salto di qualità verso gli Stati Uniti d’Europa. Di fronte alle minacce che si profilano bisogna sostenere le nostre capacità di difesa nel modo più credibile, senza frammentare le spese tra gli Stati e neanche dando ancora soldi all’America come vorrebbe Trump. Il punto di vista portato dalla segretaria Schlein al vertice del Pse è stato ascoltato ed è positivo l’accordo dei socialisti europei sui fondi di coesione. Il Pd indica una strada di fermezza, consapevolezza e responsabilità sociale, senza farsi distrarre da alcun richiamo”. Lo dichiara Debora Serracchiani, componente della segreteria nazionale del Partito democratico.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Decidere maggiori investimenti per rendere più sicuro e protetto il nostro continente è una scelta non più rinviabile. La difesa europea è un pilastro fondamentale della nostra autonomia strategica. Non possiamo avere tentennamenti su questo obiettivo. La discussione non è sul se, ma sul come arrivarci". Così Alessandro Alfieri, capogruppo Pd in commissione Esteri e Difesa a Palazzo Madama.
"In questi giorni i nostri a Bruxelles stanno facendo un lavoro prezioso per evitare che si utilizzino i fondi di coesione per finanziare spese militari e per incentivare, attraverso gli strumenti europei vecchi e nuovi, le collaborazioni industriali e gli acquisti comuni fra Paesi Europei, l’interoperabilità dei sistemi e i programmi sugli abilitanti strategici (spazio, cyber, difesa aerea, trasporto strategico). In questo quadro, va salutato positivamente che dopo il Next Generation si consolidi l’idea di emettere debito comune per finanziare un bene pubblico europeo come la difesa".
"Anche perché sarà per noi meno complicato continuare la nostra battaglia per estenderlo agli altri pilastri dell’autonomia strategica, a partire dalle politiche per accompagnare la transizione ecologica e digitale. Un passo importante quindi, come sottolineato dal nostro gruppo a Bruxelles, a cui certamente ne dovranno seguire altri se si vuole davvero rafforzare la nostra difesa comune”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "L’Unione Europea si trova a un bivio: o si presenta unita o rischia la marginalità politica. La guerra in Ucraina, e l’attuale voltafaccia americano, hanno reso evidente l’urgenza di una politica di difesa comune che non può essere frenata dagli interessi delle singole nazioni". Così l'eurodeputato Pd, Pierfrancesco Maran. "Una Difesa progressivamente comune perché, agendo come 27 eserciti nazionali, rischiamo l’impotenza".
"Oggi è necessario un passaggio di fase che aumenti gli investimenti volti a garantire una deterrenza da nuova aggressioni russe dopo il disimpegno americano ma anche a rendere più omogenea la difesa europea, con forniture simili, riducendo le duplicazioni di spese tra paesi e le inefficienze. L’Unione Europea deve dotarsi di una propria architettura di sicurezza, capace di garantire responsività e affermarsi come attore decisivo nello scenario internazionale".
"L’iniziativa della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al di là del nome infelice 'RearmEU', è un primo passo in questa direzione. Va tuttavia integrata e sviluppata identificando con chiarezza quali sono le linee di spesa utilizzate, in che modo questo aiuto può supportare immediatamente l’Ucraina, come si intende sostenere una crescente produzione industriale europea nell’ottica di arrivare ad una vera interoperabilità e difesa comune".
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "Penso che sia l’ennesimo episodio di antisemitismo che vuole legare la guerra in Medio oriente all’insulto alla memoria della Shoah. È terribile". Lo dice all'Adnkronos il segretario di Sinistra per Israele Emanuele Fiano a proposito del ritrovamento nel cantiere del museo della Shoah a Roma di escrementi, una testa di maiale e scritte che ricordano i morti a Gaza oltre ad alcuni volantini pro Palestina sono. Sull'episodio indaga la Digos.
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "La sinistra". Lo scrive su Twitter il senatore del Pd Filippo Sensi rilanciando un post di Pedro Sanchez in cui, a margine del Consiglio europeo straordinario, il premier spagnolo tra l'altro dice: "Oggi dobbiamo mandare un messaggio chiaro ai cittadini: l’Europa è molto più potente di quanto pensiamo. Nessuno minaccerà la nostra pace, la nostra sicurezza o la nostra prosperità".