In anteprima Fuori Concorso al 39esimo TFF, questa opera scaverà uno suo piccolo alveo malinconico non solo tra i più affezionati fan. Nelle sale italiane dal 2 dicembre 2021
Probabilmente non entrerà nella top five, e nemmeno nella top ten, della lunga carriera di Clint Eastwood. Ma Cry Macho, 39esimo film diretto dall’attore californiano (24esimo anche interpretato), in anteprima Fuori Concorso al 39esimo TFF, scaverà uno suo piccolo alveo malinconico non solo tra i più affezionati fan. Tratto da un romanzo di Richard Nash datato 1975 (il plot è anticaglia narrativa tra le meno spumeggianti e si sente nella prima metà del film) e sviluppato attorno alla solita essenziale, essiccata, ossuta regia di Eastwood, Cry Macho è un canto del cigno in minore, un paragrafo messicano tra polvere e aia, che Clint abbozza tiepido, colora leggero, interpreta dimesso e mai in eccesso.
La missione di Mike Milo, ex campione di rodeo dalla schiena spezzata dopo una caduta, è quella di recuperare Rafo, il figlio del suo ingrato boss fino in Messico dove vive con la madre “mezza matta”. Questo è quello che afferma il boss, perché Mike, una volta accettato l’incarico, e giunto in una ricca villa zeppa di ospiti ingioiellati e un po’ tamarri, scopre che il ragazzetto oramai 13enne non è a casa da mamma, peraltro vestita come in un club di spogliarelliste. Sfidato anche dalla donna, l’anziano cowboy rintraccerà Rafo mentre sta per scatenare il suo galletto da combattimento prima che la polizia irrompa nell’angolo clandestino di scommesse. I due non sembrano andare alquanto d’accordo. Rafo è spavaldo ma anche molto ingenuo. Mike è semplicemente tanto, tanto vecchio e quella missione pesa oltremisura.
La prima mezz’ora allora, se non fosse per i saltelli del galletto Macho che i due si portano dietro, fatica ad ingranare perbene, a risultare un buddy movie di quelli guizzanti e preziosi. I due personaggi paiono lontanissimi, l’alchimia non esplode, le scintille sono effetti di mortaretti di seconda mano. Clint quasi fatica a recitare con un filo di voce. Poi ecco che la coppia è costretta a fermarsi in un pueblo di confine, pernottando dentro una chiesetta e sfamandosi presso una taverna gestita da una matura vedova (Natalia Traven) con nipotine a carico. Ed a questo punto Cry macho prende colore: Mike farà amicizia con la donna, aggiusterà il jukebox, insegnerà a Rafo a cavalcare e diventerà suo malgrado una sorta di Dottor Dolittle (la battuta la declama ironico Eastwood nel film ndr) che cura anche solo con qualche consiglio pratico caprette, maialini e cagnetti del vicinato contadino.
Un’armonia agreste che dura il tempo della scoperta di un trucco non proprio nobile e paterno del suo ex boss, e dell’arrivo di polizia compresi gli sgherri della mamma di Rafo. Eastwood fa capire che oramai per il divo e per l’uomo “non sa come si cura la vecchiaia”, ma intanto il suo cinema continua a girare onesto, limpido e universale. Più che passaggio di testimone generazionale o anagrafico le sue storie aggiornano sempre la contrapposizione tra fessi uomini di legge o di potere e rudi cowboy dal cuore d’oro. E nei film di Eastwood non si sa bene mai chi vince veramente. Postilla: Eastwood ha 91 anni, una gobba evidente, le mani arcuate tutte nervature esposte, un ciuffetto di capelli a metà del cranio, e gli occhi oramai ridotti a un puntino di spillo. Eppure è sempre lì a recitare, a fare regia, a produrre. Indistruttibile Cry macho che non è altro a cui si vuole timidamente bene anche quando non regala il film della vita. Nelle sale italiane dal 2 dicembre 2021.