L’intervento, fanno sapere dal Movimento 5 Stelle, è in vista di una “riflessione” sulla riscrittura di tutte le modifiche al decreto Dignità inserite nella legge di conversione del decreto Agosto rispondendo ai desiderata di Confindustria. Si vedrà: di certo c’è che per ora questa ennesima modifica va a danno dei lavoratori. “L’effetto concreto rischia di essere quello della sostituzione dei 100.000 lavoratori a tempo indeterminato con altri 100.000 a termine“, avvertono Nidil, Felsa Cisl e UilTemp, che chiedono un intervento urgente del governo (il ministero del Lavoro aveva dato parere negativo all’emendamento) e definiscono “vergognoso che, per compromessi al ribasso all’interno della maggioranza di governo, si tengano in ostaggio decine di migliaia di lavoratori con balletti incomprensibili di date e rinvii”. Franceschin chiarisce che l’intervento avrebbe un senso “se ci fossero norme che, una volta raggiunto il limite temporale, impediscono o frenano il turnover. Ma se non ci sono, la scelta viene lasciata all’impresa, che a quel punto sostituirà il lavoratore con un altro a termine oppure a chiamata o addirittura un autonomo, con ancora meno tutele. Il mercato del lavoro è fatto di vasi comunicanti, se intervieni su un solo aspetto per volta fai solo danni”.
Partiamo dal principio. Il limite di 24 mesi per i contratti a termine previsto dal decreto Dignità non ha mai riguardato i 100mila assunti a tempo indeterminato dalle agenzie per il lavoro e utilizzati per missioni a termine presso un’azienda definita “utilizzatrice“. Questo perché, appunto, si tratta di persone che un contratto stabile ce l’hanno. Per loro il passo successivo è arrivare, attraverso un accordo sindacale, ad essere inseriti stabilmente nell’organico dell’azienda utilizzatrice. Inutile e dannoso – secondo Nidil, Felsa Cisl e UilTemp – mettere un tetto massimo alla durata dei loro incarichi in azienda imponendo oltre un certo numero di mesi la stabilizzazione, perché in questo modo si “incentiva” l’utilizzatore a sostituite il lavoratore con un altro a termine. I problemi sono nati nell’estate 2020, quando il governo Conte in fase di conversione del decreto Agosto ha inserito una precisazione ad uso e consumo di Poste, unica azienda a interpretare il decreto del 2018 come una tagliola applicabile anche in questi casi, specificando che le somministrazioni a termine possono superare i 24 mesi. Ma ha pure fissato un termine, prevedendo che la disposizione valesse solo fino al 31 dicembre 2021. Di lì l’ira dei sindacati e la richiesta di modifiche, ascoltata dal governo Draghi che ha eliminato quel riferimento temporale.
In commissione al Senato, però, è andato in scena un corto circuito. Il Movimento 5 Stelle ha presentato un emendamento a prima firma dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo che prevedeva l’abolizione di tutte le modifiche al ribasso al decreto Dignità (passate con il benestare del relatore M5s Giuseppe Buompane), ma quella proposta non è stata votata. Restano quindi in vigore sia la possibilità, previo accordo con i sindacati, di prorogare i rapporti a termine senza indicare causali, sia quella di stipulare fino al 30 settembre 2022 nuovi contratti a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi anche con lavoratori che la stessa azienda abbia già impiegato a termine per due anni. In parallelo è passato l’emendamento Matrisciano che, dopo una riformulazione, fissa lo stesso limite temporale del 30 settembre 2022 anche per l’impiego oltre i 24 mesi dei lavoratori assunti in somministrazione a tempo indeterminato e inviati in missione a termine. Mettendo un tetto dove non c’era più.