I test per i neonati nei paesi ad alta prevalenza del virus sono diminuiti tra il 50% e il 70%, mentre i nuovi trattamenti iniziati nei bambini al di sotto dei 14 anni sono scesi tra il 25% e il 50%
Ritardi o addirittura mancate diagnosi. Tra i danni della pandemia di Covid c’è anche il freno che il Sars Cov 2 ha messo alla lotta contro l’Hiv che 40 anni fa entrò a far parte delle nostre vite. A pagare il prezzo più alto potrebbero essere stati i bambini. Il rapporto dell’Unicef “Hiv and Aids Global Snapshot” rivela che che si è verificata un’interruzione significativa nei servizi. In particolare, nel 2020 almeno 310.000 bambini sono stati contagiati dal virus dell’Hiv e altri 120.000 sono morti per cause legate all’Aids (circa l’88% delle morti di bambini legate all’Aids sono avvenute nell’Africa sub-sahariana).
Secondo il rapporto, i test Hiv per i neonati nei paesi ad alta prevalenza del virus sono diminuiti tra il 50% e il 70%, mentre i nuovi trattamenti iniziati nei bambini al di sotto dei 14 anni sono scesi tra il 25% e il 50%. Oggi si stima che nel mondo oltre 38 milioni di persone di cui 1,8 milioni di under 15 convivano con l’Hiv, ma sono 35 milioni le vittime in 40 anni di cui oltre 45mila in Italia. Il numero delle nuove diagnosi è diminuito nel tempo passando dal picco del 1998 con 2,8 milioni di nuove infezioni a 1,7 milioni nel 2019. Inoltre alla fine di dicembre 2020 erano 27,5 milioni le persone con Hiv che avevano accesso alle terapie antiretrovirali, rispetto ai 7,8 milioni del 2010. Progressi ora sembrano messi a rischio dalla pandemia.
Il fenomeno è stato osservato anche in Italia, dove, secondo l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), le diagnosi si sono ridotte del 47% nel 2020 rispetto al 2019 (per un totale di 1.303 nuove diagnosi e un’incidenza di 2,2 ogni 100.000 residenti). Un calo analogo è stato registrato nei casi di Aids, passati dai 605 del 2019 ai 352 del 2020. Per l’Iss a spiegare la riduzione potrebbe essere una difficoltà di accesso ai test a causa de Covid-19. La fascia interessata resta quella dei giovani tra i 25 e i 29 anni. Nel corso del tempo la ricerca ha raggiunto molti obiettivi arrivando al traguardo della non trasmissibilità dell’infezione nei pazienti con malattia ben controllata. Nell’attesa di un vaccino, oggi la sfida resta quella di ampliare quanto più possibile l’accesso alla diagnosi e ai farmaci antiretrovirali e il controllo del fenomeno della resistenza ai trattamenti.
Foto di archivio