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L’Ue ritira le linee guida e la destra festeggia. Ma negli Usa certe regole valgono da anni

di Carmelo Sant’Angelo

Anche quest’anno il Natale è salvo! Il Grinch di Bruxelles ne ha capito il vero significato. Non è stato merito di Cindy Chi Lou, ma della destra italiana, che al suono di zampogne, ciaramelle e flauti ha intenerito il cuore della Commissione europea. La commissaria Ue alla Parità, Helena Dalli, ha ritirato le linee guida per la comunicazione interna.

Ma cosa diceva di così terribile questo documento? Innanzitutto non aveva alcuna ricaduta sui cittadini comunitari, ma indirizzava i burocrati di Bruxelles a utilizzare un canone di linguaggio improntato al politicamente corretto. Il contenuto è quanto di più banale e scontato per chi ha dimestichezza a operare in contesti internazionali. Sono le stesse norme che negli Usa valgono da oltre un decennio. Se, ad esempio, ci si rivolge a una signora di cui non si conosce lo stato civile è preferibile usare un generico “Ms” anziché “Mrs” o “Miss”. Se si scrive a una platea promiscua di colleghi, anziché esordire con “gentili signore e signori”, appare più sbrigativo “cari colleghi”. Se si fa riferimento alle festività natalizie, meglio augurare “buone festività”, perché, ad esempio, il collega ebreo nello stesso periodo festeggia il Chanukkà.

Su queste inezie la destra è riuscita a inondare, per due giorni, ogni spazio dell’informazione, facendo credere che ci stessero “rubando il Natale” e, per soprammercato, ha anche aggiunto la damnatio memoriae per il nome della Vergine. Ovviamente tutto falso, ma la campagna mediatica è riuscita ad accreditare la destra nostrana come la paladina del cristianesimo. Una sorta di crociati, seppur con una casacca impermeabile alla sofferenza dei migranti.

Cosa succede, invece, oltreoceano? Capisci subito che gli Stati Uniti sono una vera società multietnica appena metti piede su un loro aereo. A bordo non ci sono più hostess o steward, ma solo “assistenti di volo”. L’attenzione alle parole risulta, addirittura, commovente, quando per definire un’auto di seconda mano non la chiamano “pre-owned”, ma “previously enjoyed” (goduta in precedenza).

La polemica innescata sulle linee guida europee è, perciò, degna solo di coloro che non hanno mai messo fuori il naso dalla Garbatella e non vantano alcuna esperienza lavorativa internazionale.

Detto ciò mi preme, però, suggerire molta cautela con il “politicamente corretto”, perché può mietere delle vittime. Ne sa qualcosa Doug Adler (ma è solo il caso più eclatante) un cronista di tennis, ex giocatore professionista. Nel 2017, agli Australian Open, durante il match di Venus Williams contro la svizzera Stefanie Voegele, Adler stava descrivendo il gioco aggressivo della Williams e lo definì “guerrilla effect”. Per sua sfortuna il termine “guerrilla” ha lo stesso suono di “gorilla”, per cui il cronista finì immediatamente nella gogna mediatica. Ad accendere la miccia fu Ben Rothenberg, un freelance che copriva l’evento per il New York Times, che, sconsideratamente twittò che Adler aveva definito la campionessa come “un gorilla” a causa delle sue radici afro-americane.

La Espn, il canale televisivo per cui Adler lavorava, gli chiese di scusarsi immediatamente in diretta per poter mantenere il suo posto di lavoro. Il giorno successivo, invece, lo licenziò. Inutili le spiegazioni dell’interessato, il quale a sua difesa sostenne che l'”effetto guerriglia” indica un gioco aggressivo e sfiancante, condotto sotto rete. A sua discolpa richiamò anche uno spot pubblicitario della Nike del 1995, che definiva “Guerrilla Tennis” la rivalità agonistica tra i due testimonial: Andre Agassi e Pete Sampras. L’unica sua consolazione fu il riconoscimento giudiziale dell’illegittimità del licenziamento, ma la sua carriera finì ugualmente per sempre. A stroncargli la vita fu l’isteria dei social, a cui nemmeno il suo datore di lavoro seppe resistere.

Attenzione dunque a soffiare sull’ingenuità del popolo con notizie false, perché le reazioni sono imprevedibili. La fiamma dell’odio acceca.

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