È un’anomalia tutta italiana quella di avere, presso alcune Amministrazioni comunali, un Ufficio designato su base etnica, che non si preoccupa di risolvere le problematiche di quanti vivono una specifica condizione socio-economica, ma di famiglie riconducibili a una determinata etnia. Un “Ufficio Nomadi” – diventato negli anni, secondo il linguaggio politicamente corretto, un “Ufficio Speciale Rom” – con l’incarico di implementare le azioni di un “Piano rom”, all’interno del quale sono riportate le norme per regolare la vita di quanti vivono in “campi rom” e “centri di raccolta rom” che a loro volta mandano i bambini a scuola attraverso pulmini gestiti dall’”Ufficio Scolarizzazione Alunni rom” secondo progetti ministeriali legati alla “Scolarizzazione Alunni Rom”. Il tutto coordinato e gestito da esperti di “questioni rom”.
Provate a mettere, nella frase precedente, la parola “ebreo” ogni volta che compare il termine “rom” e vedete che effetto procura.
La prima volta che incontrammo l’allora candidato sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, fu la scorsa primavera nella sede del suo comitato elettorale. Impiegai la metà del tempo che avevo a disposizione per spiegargli l’aberrazione di un sistema che, a partire da un “Ufficio Speciale” dedicato alla cura di una specifica etnia, aveva prodotto in un quarto di secolo solo esclusione, marginalità, sofferenza sociale e tanta, tanta opacità.
A inventare una struttura di questo tipo fu, a fine anni Ottanta, la città di Torino. Da quel periodo ad oggi il capoluogo piemontese ha un Ufficio Nomadi i cui destinatari, come si legge ancora oggi sul sito comunale, sono “Rom, Sinti, Camminanti Siciliani ed altre tribù nomadi in transito nella città”, secondo un’immagine che richiama le incisioni su pergamena di anonimi del Seicento nel raffigurare viandanti e penitenti di passaggio.
Il modello sbarcò a Roma con Francesco Rutelli negli anni Novanta sotto lo slogan della legalità da imporre negli insediamenti. Il primo a dirigere l’“Ufficio Nomadi” di Roma fu Luigi Lusi, condannato per essersi appropriato di 25 milioni di euro. Poi, sotto l’amministrazione Veltroni, fu la volta del suo capo-gabinetto Luca Odevaine a condizionare fortemente le scelte dell’Ufficio con la decisione di costruire il nuovo “villaggio” di Castel Romano nel 2005. Anche lui finì agli arresti nel 2015 nell’inchiesta denominata “Mondo di Mezzo”. Quando il governo della città passò al sindaco Alemanno fu la volta del soggetto attuatore del Piano Nomadi Angelo Scozzafava a commissariare l’Ufficio prendendolo nelle sue mani. Anche lui finì travolto nelle diverse vicende legate alla medesima inchiesta. Dalla quale uscì colpevole Emanuela Salvatori, direttrice dell’Ufficio Nomadi sotto la Giunta Marino, con quattro anni da scontare per aver favorito un finanziamento a una cooperativa della galassia di Buzzi in cambio dell’assunzione della figlia.
Malgrado tutto Virginia Raggi decise di ricostituire nel luglio 2017 la struttura sotto il nome di “Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti”. Quattro direttori in quattro anni di vita, con gli ultimi due con una carriera vissuta presso diversi comandi della Polizia Municipale. Malgrado la struttura avesse una mission chiaramente legata all’inclusione sociale.
Nel nostro incontro Roberto Gualtieri ascoltò con interesse la nostra narrazione per poi promettere, come riportato nel suo programma che presentò nei giorni successivi, “la fine dell’approccio etnico” sull’intera questione. Abbiamo chiesto di mantenere quella promessa subito, nei primi cento giorni, dando un segnale di universalismo forte per assicurare credibilità alle parole e discontinuità rispetto al passato. Si trattava di cominciare subito con il chiudere l’”Ufficio Speciale Rom” per convertire le risorse e valorizzarle inaugurando un “Ufficio per la povertà abitativa estrema” che si occupasse di tutti quei cittadini che da decenni vivono le periferie romane in condizioni transitorie, precarie, marginali – compresi, ma non solo, campi rom istituzionali e baraccopoli. Un nuovo Ufficio, coordinato dal Gabinetto del sindaco, da radicare presso l’Assessorato alle Politiche Abitative e lavorare in stretto raccordo operativo con gli altri livelli di competenza capitolina, sia centrale che municipale.
Oggi la prima parte della nostra raccomandazione è stata realizzata e a breve l’esperienza di un ufficio su base etnica – durata molto, troppo tempo – verrà finalmente archiviata al passato. Con almeno tre generazioni di ebrei (pardon, di “rom”) sulla cui pelle si è prodotta una vergogna davanti alla quale, come cittadini romani, dovremmo tutti arrossire.
Ora attendiamo la realizzazione della seconda raccomandazione. Per dare una risposta risolutiva e forte alle mille famiglie, italiane e straniere, che nella periferia di Roma vivono dentro un container o in una tenda, parcheggiate lungo le strade o accampate sulle sponde del Tevere. Al di là di qualsiasi denominazione etnica con cui le si vuole marchiare in un processo di assurda razzizzazione nella quale tutti, nessuno escluso, sono inciampati.