di Roberto Iannuzzi*

Cosa succederebbe se lo stato-nazione, fondamento del sistema internazionale degli ultimi secoli, venisse sostituito dalle corporation multinazionali, soprattutto dalle cosiddette tech companies, il cui successo si fonda su campi che vanno dall’information technology alle biotecnologie?

E’ uno dei temi recentemente trattati nel Bloomberg New Economy Forum di Singapore, assieme all’esigenza di ricostruire l’economia globale dopo il Covid-19. A sollevare l’interrogativo è il ruolo senza precedenti che tali compagnie hanno giocato nella pandemia, in settori come e-commerce, digitalizzazione e smart working, la telemedicina e i nuovissimi vaccini a mRNA.

“Siamo entrati nell’era della biologia e del genoma”, ha ottimisticamente affermato Francis deSouza, amministratore delegato di Illumina, leader nel settore della genetica. Secondo lui, tecniche come il gene editing permetteranno di migliorare la qualità della vita e prolungarne la durata. Ian Bremmer, presidente dell’Eurasia Group, dalle pagine di Foreign Affairs ha recentemente ipotizzato scenari in cui i giganti della Big Tech ridefiniranno l’ordine mondiale esercitando un’influenza geopolitica anche superiore a quella degli stati.

Le tech companies controllano aspetti crescenti della società, dell’economia, dell’informazione e perfino della sicurezza nazionale (dal cloud-computing alla cybersecurity). Esse hanno il monopolio sulle tecnologie della prossima rivoluzione industriale – la cosiddetta Industria 4.0 (reti 5G, intelligenza artificiale, internet-of-things, ecc.) – ed esercitano crescente sovranità sullo spazio digitale. La maggior parte dei servizi cloud nel mondo viene fornita da quattro compagnie: la cinese Alibaba, Google, Amazon e Microsoft. Alibaba e Tencent dominano i servizi di pagamento, i social media e l’e-commerce in Cina.

E poi ci sono le praterie aperte dalle biotecnologie, dove il ruolo dell’intelligenza artificiale diventa essenziale, e si sta assistendo a una crescente compenetrazione fra Big Tech e Big Pharma. Alphabet (società che controlla Google), ad esempio, ha progressivamente investito nel settore sanitario e farmaceutico e perfino in quello della prevenzione pandemica. Bremmer traccia tre possibili scenari. Nel primo, prevalgono le big corporation a vocazione nazionale e lo stato-nazione mantiene il suo ruolo guida. Nel secondo, lo stato-nazione sopravvive in forma indebolita, convivendo con le multinazionali a vocazione globalista. Nell’ultimo, lo stato-nazione progressivamente svanisce lasciando spazio ai giganti della “tecno-utopia” (o più probabilmente di una totale distopia) che assorbiranno i cittadini in un’economia digitale nella quale scompare il ruolo di intermediazione dello stato. E’ il Metaverso di Mark Zuckerberg, tanto per intenderci.

A cavallo di questi scenari si pone il modello dello stakeholder capitalism proposto da Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum (Wef), polo di attrazione dell’élite economica globale. Schwab, che proprio lo scorso 22 novembre si è recato in visita da Mario Draghi a Palazzo Chigi, teorizza una nuova forma di capitalismo in cui sono le grandi compagnie a occuparsi dei bisogni di tutte le componenti (stakeholder) della società, prendendo il posto dello stato.

Si obietterà che proprio con la pandemia lo stato-nazione ha acquistato rinnovato vigore intervenendo pesantemente nella gestione dell’economia. Ma è un’impressione illusoria. Sebbene siamo ormai usciti dal laissez faire tipico del neoliberismo, il nuovo interventismo statale è di fatto al servizio dei grandi gruppi economici. E, non a caso, essi hanno tratto enorme vantaggio dalla crisi pandemica, mentre piccole e medie imprese erano costrette a chiudere e i lavoratori perdevano l’impiego. Le big corporation hanno scalato lo stato dall’interno, a partire dall’America.

L’ascesa di Amazon venne incoraggiata dall’amministrazione Obama. L’ex presidente era anche molto vicino a Eric Schmidt, amministratore delegato di Google, poi divenuto stretto collaboratore del Pentagono nella corsa all’impiego militare dell’intelligenza artificiale, in un pericoloso testa a testa con la Cina per il primato tecnologico mondiale. Le politiche economiche di Biden, invece, sono plasmate dal direttore del National Economic Council Brian Deese, già dirigente di Blackrock. Assieme al suo rivale Vanguard, questo gruppo gestisce 20 trilioni di asset finanziari in tutto il mondo, praticamente un monopolio incontrastato a Wall Street.

I legami fra amministrazione Usa e grandi industrie farmaceutiche sono altrettanto stretti. Alla guida della Food and Drug Administration (Fda), che ha approvato i vaccini a mRNA, Biden ha recentemente nominato Robert Califf, già dirigente di Verily (controllata di Alphabet nel settore biotecnologico e sanitario) e grande azionista di Big Pharma. Le corporation hanno acquisito influenza anche nelle grandi organizzazioni internazionali, dall’Onu all’Oms. Lo Un Global Compact, promosso nel 2000 dall’allora segretario generale Kofi Annan, diede ai grandi gruppi accesso privilegiato alle organizzazioni controllate dalle Nazioni Unite. Così, ad esempio, l’Oms lavora a stretto contatto con la Bill and Melinda Gates Foundation e la Rockefeller Foundation.

Di fronte a questa forza soverchiante, il potere contrattuale dei comuni cittadini è sempre più irrisorio. Che lo stato-nazione sopravviva o meno, i suoi azionisti di riferimento non sono più gli elettori, che non hanno ormai alcuna reale capacità di controllo. Al contrario, sono proprio i cittadini ad essere controllati sempre più da vicino da uno stato che, proprio grazie alle tech companies, ha un potere di sorveglianza di massa senza precedenti nella storia.

*Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter: @riannuzziGPC
Medium: @roberto.iannuzzi

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