di Gianluca Pinto
Siamo proprio messi bene. Ultimamente, assieme allo spot del Parmigiano Reggiano dove si vuole far vedere che un lavoratore deve essere felice di lavorare 365 giorni l’anno, non solo senza fiatare ma anche con entusiasmo e gioia per essere spremuto come un limone, abbiamo anche gli spot di Amazon che ci consegnano un’altra chicca di inclusione sociale ed economica.
Si tratta dello spot che ci racconta la storia di un magazziniere, tale Mohamed con la sorella disabile. Il ragazzo spiega a tutti noi come lui debba ringraziare Amazon per avergli concesso un lavoro che gli permetta anche di prendersi cura delle complessità della sorella e delle sue necessità. Amazon, dunque, non solo vende il proprio servizio, ma anche se stessa presentandosi come formidabile elemento di inclusione sociale (trattasi di cittadino straniero nel caso specifico) e soprattutto, grazie all’enorme favore che concede a Mohamed di lavorare, si pone come pilastro nell’aiuto per le persone che hanno problemi di disabilità all’interno della famiglia. Uno stupendo sistema di welfare, quindi. Che meraviglia! È risaputo che Amazon sia un esempio nel campo del diritto del lavoro, dei permessi parentali e delle risorse dedicate ai lavoratori. Si sa come i dipendenti di Amazon abbiano tanto tempo libero e possano dedicarsi agli affetti e prendersi cura dei più fragili.
Finalmente un po’ di civiltà! Finalmente una società giusta. Rido, infatti, quando una mia conoscente mi racconta di aver dovuto imparare a controllare la vescica perché, ai fini della competizione nell’avanzamento di posizione in Azienda, vengono conteggiate le pause per andare al bagno: sorrido con superiorità perché è evidente che siano allucinazioni di una persona che non sa quello che dice; sono chiaramente illazioni di una scansafatiche che vorrebbe solo privilegi, tipo quelli di cui usufruiscono quei sordidi lavativi dei nostri nonni (come la mia che andava a lavorare con le costole rotte per non perdere la giornata di salario) che con le loro consistenti e pesanti pensioni regalate dopo qualche misero annetto in fabbrica, magari all’Ilva di Taranto, si sono mangiati il futuro dei giovani.
Questo ruolo parassitario delle precedenti generazioni è, tra l’altro, stato fatto capire ultimamente dall’alto delle nostre voci istituzionali. Lo spot di Amazon parla chiaro e non vi è motivo di metterlo in dubbio: il lavoro è una concessione, un favore, e devi ringraziare chi questo favore te lo fa. Non vi è nemmeno motivo di fermarsi un momento a pensare (si sa, fermarsi a pensare è proprio quello che non serve oggi, anzi, è dannoso, potrebbe inceppare un meccanismo oliato e rodato) sul fatto che si sia passati dagli spot agli spot negli spot.
Non vi è alcun motivo di riflettere sul fatto che oggi non solo ci viene spiegato costantemente quanto sia fondamentale nella vita di ogni giorno possedere, ad esempio, un dispositivo che ti risparmia la tremenda fatica di premere l’interruttore per accendere la luce quando puoi entrare in casa e parlare da solo per farlo; ora si comincia ad illustrare quanto si debba essere felice di uno splendente e folgorante ritorno ad un nuovo schiavismo pieno di prosperità e di prospettive luminose per il genere umano. Non si pubblicizza più solamente un servizio o un prodotto, ma si inizia pubblicizzare e inculcare nella gente quale sia il nuovo modello di lavoro (sfruttamento, nel senso tecnico) e quanto sia importante la generosità di alcune aziende, nel concedere tale ‘lavoro’.
Tutto questo è pericoloso, non solo per i fatti illustrati che sono già in atto, ma soprattutto perché sembra di scorgere come ormai la situazione sia sdoganata senza alcun timore né vergogna, addirittura a livello di comunicazione commerciale.