Una giurista, Sandra Mason, è la prima presidente della recente nata Repubblica della Barbados. La cerimonia attraverso la quale l’isola caraibica ha cambiato il suo status da Monarchia Costituzionale (sotto il Regno di Elisabetta II) a Repubblica è avvenuta il 30 novembre. Un passaggio di consegne che ha coinciso con il 55esimo anniversario dell’indipendenza dell’isola caraibica, avvenuta nel 1966 ma che fino a fine novembre aveva continuato a essere legata alla Corona inglese.
Lo stesso giorno la cantante Robyn Rihanna Fenty è stata condecorata come eroina nazionale delle Barbados proprio per aver portato, secondo le parola di un’altra donna afrodiscendente Mia Mottley (primo ministro della neonata Repubblica) “l’immaginazione nel mondo attraverso la ricerca dell’eccellenza con la sua creatività, la sua disciplina e, soprattutto, il suo straordinario impegno per la sua terra”.
La presidenza di una donna afrodiscendente come Sandra Mason (scelta per questo incarico il 20 ottobre scorso), e il protagonismo in questo giorno epocale di altre donne afrodiscendenti come Rihanna e la stessa Mottley, racchiudono un simbolismo storico e una valenza culturale, di genere e identitaria fortissime. Sì, perché quanto successo il 30 novembre non è solo un atto amministrativo e politico che permette ai circa 280 mila abitanti dell’isola di godere di una sovranità reale, ma si tratta anche di un ulteriore tassello di una controstoria che ancora sgomita per trovare il suo posto nella regione. Parlo della storia della comunità afrodiscendente in America Latina e nei Caraibi, una comunità che si avvicina ormai alle 150 milioni di persone (poco meno di un quarto degli abitanti della regione) e che ha giocato e gioca un ruolo da protagonista nelle vicende di questa parte di mondo.
Quella delle persone afrodiscendenti con l’America Latina è infatti una relazione carnale, costruita sui loro corpi e con i loro corpi, templi di resistenza immolati alla causa della libertà. Se per le popolazioni indigene della regione parliamo di lotta per la sopravvivenza, nel caso delle comunità afrodiscendenti si aggiunge l’elemento di insorgenza e ribellione che ha caratterizzato il lungo cammino per la conquista del riconoscimento come esseri umani prima e come attori sociali e politici poi. Fin dal 1500 la geografia della resistenza di coloro che sono stati vittime della tratta degli schiavi ha acceso la regione dalla selva del Darién, passando per le coste pacifiche dell’Ecuador, al Venezuela, al Brasile, al Messico, al Perù, alla Giamaica…
Cimarrones, palenqueros, marron, quilombolas alcuni dei nomi usati dai coloni europei per identificare con disprezzo e odio coloro che “osavano” rompere le catene della schiavitù e fuggire per cercare la loro libertà. Uomini e donne il cui sangue era segno di impurità, subumani sprovvisti della presenza di Dio come pontificava la Chiesa cattolica all’epoca. Uomini e donne che hanno osato sfidare e sconfiggere imperi secolari, come successo con la rivoluzione haitiana (1791-1804): avvenimento cruciale per i destini del continente che però nei nostri libri di scuola non trova quasi spazio…
Eppure questa comunità eterogenea e insorgente è sopravvissuta a tutto ciò e ha trasformato la sua lotta per resistere in una lotta per esistere. Tanto il generale argentino José de San Martin così come il Libertador Simón Bolivar non avrebbero potuto raggiungere i lori sogni indipendentisti senza il contributo, il sacrificio, il coraggio e il sangue afrodiscendente. Non ci sarebbe stata rivoluzione cubana senza l’intervento di un uomo, afrodiscendente, che rischiò la sua vita per salvare quella di Fidel Castro, non ci sarebbe stata l’America Latina che conosciamo oggi senza uomini e donne (soprattutto donne) colpevolmente e volontariamente dimenticate dalla Storia scritti dai vincitori.
Ecco dunque che Sandra Mason ci offre un’opportunità che va al di là della notizia di attualità e che ci deve spingere a riflettere su come vediamo e narriamo la Storia. Le Nazioni Unite hanno istituito per il periodo 2015-2024 il Decennio Internazionale per gli afrodiscendenti, basato su tre pilastri fondamentali: riconoscimento, giustizia e sviluppo. Tre concetti interconnessi che, in America Latina e nei Caraibi, ci fanno capire che la questione di chi sono e come vivono le persone che discendono da coloro che vennero portati in catene nel Nuovo Mondo diventa centrale e fondamentale per disegnare un futuro basato sull’inclusione e su un’epistemologia altra, che esca da quella che Anibal Quijano chiamava “colonialità del potere”.
E in questo senso che allora il #blackhistorymatters (la storia nera è importante) trova un suo compimento, nel momento in cui siamo disposti a riconoscere che le vicende storiche legate a questa regione (e non solo) sono state dipinte di bianco e impoverite di ogni eroico atto di (R)esistenza afrodiscendente. Dal mio piccolo e modesto spazio di azione ho provato a fare la mia parte, offrendo al pubblico italiano quest’opera che vuole aprire uno spazio di approfondimento, riflessione e dibattito sul tema della comunità afrodiscendente latinoamericana e caraibica: America Latina Afrodiscendente: una storia di (R)esistenza.