Cronaca

Papa Francesco torna nell’isola di Lesbo per denunciare i “lager dei rifugiati” e prega con i migranti a Nicosia

Prima di tornare sull'isola greca, Bergoglio ha pregato con i migranti nella Chiesa di Santa Croce di Nicosia: una cinquantina di rifugiati nelle prossime settimane, “come segno della sollecitudine del Santo Padre verso famiglie e persone migranti” saranno trasferiti in Vaticano. Il pontefice: "In tanti sono finiti nei lager, veri lager, dove le donne sono vendute, gli uomini torturati, schiavizzati"

Papa Francesco torna nell’isola di Lesbo, in Grecia, per denunciare i lager dei rifugiati. Bergoglio vi era stato nel 2016 in un viaggio lampo di appena un giorno per visitare un campo profughi, portando con sé di ritorno a Roma, sul volo papale, tre famiglie di rifugiati dalla Siria, dodici persone in tutto di cui sei minori, tutti musulmani. Sono stati proprio alcuni di loro a salutare il Papa, a Casa Santa Marta, prima della sua partenza per il viaggio che ha avuto una tappa iniziale a Cipro e che poi è proseguito in Grecia. Persone accolte dalla Comunità di Sant’Egidio. Prima di tornare a Lesbo, Francesco ha pregato con i migranti nella Chiesa di Santa Croce di Nicosia. Città divisa in due parti da un muro con un filo spinato: da un lato la zona meridionale rimasta capitale di Cipro, Stato membro dell’Unione europea, e dall’altro quella settentrionale divenuta capitale dell’autoproclamato governo della Repubblica turca di Cipro del Nord dopo l’invasione del 1974. Quest’ultima riconosciuta solo dalla Turchia.

Proprio a Nicosia, il Papa ha incontrato una cinquantina di rifugiati che nelle prossime settimane, “come segno della sollecitudine del Santo Padre verso famiglie e persone migranti”, come ha spiegato il Vaticano, saranno trasferiti da Cipro in Italia grazie a un accordo tra la Segreteria di Stato, le autorità italiane e quelle cipriote e la collaborazione con la Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede e la Comunità di Sant’Egidio. “Crediamo – ha affermato Giancarlo Penza, responsabile relazioni internazionali e sviluppo per la Comunità di Sant’Egidio – che, come abbiamo fatto per i corridoi umanitari nel passato, anche questo gruppo di rifugiati potrà essere autonomo e indipendente dopo un anno dalla loro accoglienza, certamente se il processo di integrazione andrà a buon fine”.

A loro Francesco ha rivolto parole molto forti: “Guardando voi, penso a tanti che sono dovuti tornare indietro perché li hanno respinti e sono finiti nei lager, veri lager, dove le donne sono vendute, gli uomini torturati, schiavizzati. Noi ci lamentiamo quando leggiamo le storie dei lager del secolo scorso, quelli dei nazisti, quelli di Stalin, ci lamentiamo quando vediamo questo e diciamo: ‘Ma come mai è successo questo?’. Fratelli e sorelle: sta succedendo oggi, nelle coste vicine! Posti di schiavitù. Ho guardato alcune testimonianze filmate di questo: posti di tortura, di vendita di gente. Questo lo dico perché è responsabilità mia aiutare ad aprire gli occhi. La migrazione forzata non è un’abitudine quasi turistica: per favore! E il peccato che abbiamo dentro ci spinge a pensarla così: ‘Mah, povera gente, povera gente!’. E con quel ‘povera gente’ cancelliamo tutto. È la guerra di questo momento, è la sofferenza di fratelli e sorelle che noi non possiamo tacere. Coloro che hanno dato tutto quello che avevano per salire su un barcone, di notte, e poi senza sapere se arriveranno. E poi, tanti respinti per finire nei lager, veri posti di confinamento e di tortura e di schiavitù. Questa è la storia di questa civiltà sviluppata, che noi chiamiamo Occidente”.

Un tema da sempre al centro del pontificato di Francesco. Il suo primo viaggio, nel 2013, fu a Lampedusa per denunciare quella che in quell’occasione definì la “globalizzazione dell’indifferenza” davanti alle continue tragedie dei migranti morti nel mare per fuggire da violenze, guerre e povertà. Gesti e parole, quelli di Bergoglio, che suscitano sempre aspre polemiche politiche, soprattutto in Europa, e divisioni, anche tra coloro che si definiscono cristiani. Alla vigilia della visita del Papa in Grecia, Intersos, la più importante ong italiana presente a Lesbo, ha scritto una lettera a Francesco insieme a 36 associazioni che operano nell’isola. In essa, si legge che “i paesi europei non possono e non devono negare la loro parte di responsabilità nella protezione dei rifugiati. Spostare la responsabilità su altri paesi in cambio di aiuti finanziari aumenta le disuguaglianze globali ed è moralmente deplorevole. Allo stesso tempo, espone spesso i rifugiati al rischio di maltrattamenti o li pone in uno stato di protezione soggetta a limitazioni. Un’Europa fondata sui valori dell’umanità, della democrazia e della solidarietà non può essere legittimata nello spostare costantemente altrove le sue responsabilità. Lo stesso vale per certi governi europei che negano, da se stessi, la propria parte di responsabilità”.

Parole in piena sintonia con quelle rivolte dal Papa alle autorità greche, dopo essere stato accolto dal presidente della Repubblica, Katerina Sakellaropoulou: “Questo paese, improntato all’accoglienza, ha visto in alcune sue isole approdare un numero di fratelli e sorelle migranti superiore agli abitanti stessi, accrescendo così i disagi, che ancora risentono delle fatiche della crisi economica. Ma anche il temporeggiare europeo perdura: la Comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord. Vorrei esortare nuovamente a una visione d’insieme, comunitaria, di fronte alla questione migratoria, e incoraggiare a rivolgere attenzione ai più bisognosi perché, secondo le possibilità di ciascun paese, siano accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità. Più che un ostacolo per il presente, ciò rappresenta una garanzia per il futuro, perché sia nel segno di una convivenza pacifica con quanti sempre di più sono costretti a fuggire in cerca di casa e di speranza. Loro sono i protagonisti di una terribile moderna odissea”. E ha aggiunto: “Le sofferenze ci accomunano e riconoscere l’appartenenza alla stessa fragile umanità sarà di aiuto per costruire un futuro più integrato e pacifico. Trasformiamo in audace opportunità ciò che sembra solo una malcapitata avversità”.

Twitter: @FrancescoGrana