C’è chi la ricorda srotolare davanti ai giornalisti la cartina di una vigna entrata nella golena del fiume Orcia, in provincia di Siena, e lei che spiegava il rischio che i diserbanti finissero nell’acqua. Lei è Anna Marson, 64 anni, veneta di Treviso, ex assessore all’urbanistica della Regione Toscana, descritta come “una tiranna del paesaggio”, “bene comunista” e “sessantottarda”. Motivo? La realizzazione del Pit (piano di indirizzo territoriale), approvato nel 2014, contro il quale si scatenarono le categorie economiche colpite, dai signori del marmo a quelli del vino. Sì, i viticoltori. Da Bolgheri a Montalcino. A Vittorio Zincone, in un’intervista dell’ottobre 2014, Marson spiegò: “Un ettaro di terra usato per la pastorizia non vale quasi nulla e riceve pochi finanziamenti. Un ettaro di vigne nella zona di Montalcino può valere anche cinquecentomila euro e ricevere circa quindicimila euro di finanziamento per impiantare una vigna. In pratica con l’uva ottieni una rendita fondiaria, corroborata da soldi pubblici. A fronte di questa plusvalenza, la Regione potrà chiedere di adottare qualche accorgimento che tuteli il paesaggio?“.

Scelta come assessore da Enrico Rossi nel 2010, su segnalazione di Pancho Pardi, ex girotondista ed ex militante di Potere Operaio, suo collega all’università, Marson e il suo Pit sono stati per cinque anni il bersaglio di gran parte del mondo politico (a cominciare dai renziani) ed economico. L’ex presidente di Confindustria Toscana Antonella Mansi tuonò contro “l’ambientalismo in cachemire” e i “benicomunisti”, tra i quali veniva annoverata anche la Marson. Che, concluso il suo mandato di assessore all’urbanistica, non è stata confermata, ovviamente. E da allora, dall’aprile del 2015, il mantra politico in Toscana è stato quello di “dimenticare la Marson” e rivedere il suo Pit, ritenuto uno dei piani territoriali più avanzati in Italia, ma non certo dalle categorie economiche. Che ora possono brindare perché il consiglio regionale della Toscana, in piena era Giani, ha messo mano al Pit dello scandalo e della discordia. La legge 65, la cosiddetta Marson, è stata rivista con 21 voti a favore di Pd e Italia Viva, 11 voti di astensione (Lega e Fratelli d’Italia) e 3 voti contrari (Movimento 5 stelle e Forza Italia).

Due le modifiche principali. Primo: la proroga a cinque anni dei piani operativi in scadenza. Il che significa ovviamente mantenere le previsioni vecchie e rimandare così di un quinquennio il recepimento della legge Marson e del piano paesaggistico. Secondo: le modifiche consentono la possibilità di inserire casette mobili e attrezzature agricole attenendosi solo alle norme previste dal settore agricoltura. Altre modifiche? Una nuova formulazione degli interventi sottoposti al permesso a costruire, fra cui gli interventi di ristrutturazione edilizia, che è stata ampliata e la possibilità di comprendere anche interventi di aumento di volumetria. Accanto a queste modifiche sono state introdotte norme edilizie che rispondono ad un’esigenza di semplificazione, in quanto la Regione non ha competenza in materia. “Si tratta di ritocchi per rendere più semplice la vita dei cittadini, dei professionisti e delle categorie economiche”, ha spiegato Lucia De Robertis, Pd, relatrice di maggioranza. Macché ritocchi, replica Irene Galletti (M5s):“Si modifica la legge del paesaggio, la legge Marson, che è ritenuta tra le più avanzate in materia di urbanistica, modello per le altre regioni e oggetto di studio. La rottamazione di questa legge è stata un punto forte di parte della maggioranza collegata a Italia Viva. Si va a piccoli, continui passi verso una deregolamentazione in piena regola”.

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