Non c'è ancora la posizione ufficiale dell’Italia nell’ambito di quella che sarà la proposta della Commissione Ue sulla tassonomia verde europea e che dovrebbe essere resa nota entro la fine dell’anno. Ma il ministro della Transizione ribadisce: "Credo che, per il futuro dei nostri figli e nipoti, gli small modular reactors e soprattutto la fusione non possano essere fuori". Intanto continua la battaglia per il sito di stoccaggio delle scorie: tutti i 67 territori italiani indicati dicono no
“La tassonomia deve veramente guardare avanti. Io non sono d’accordo quando sento dire che si debbano escludere il nuovo nucleare o altre forme di tecnologia”. Non è ancora la posizione ufficiale dell’Italia nell’ambito di quella che sarà la proposta della Commissione Ue sulla tassonomia verde europea e che dovrebbe essere resa nota entro la fine dell’anno. A questo punto, però, hanno un peso specifico le parole che il ministro della Transizione, Roberto Cingolani, ha pronunciato al Consiglio dei ministri Ue rispetto al documento nel quale la Commissione indicherà quali sono gli investimenti da ritenere sostenibili e, quindi, sovvenzionabili.
L’Italia si è schierata con Francia, Spagna, Romania e Grecia, chiedendo modifiche alle norme Ue sul mercato dell’energia per tutelare i consumatori dal picco dei prezzi e Cingolani si è soffermato anche sul nodo nucleare. “Non mi riferisco ovviamente al vecchio nucleare” ha detto. Per poi ribadire: “Prima, seconda e terza generazione in questo momento non le considero tecnologia nuove. Ma credo che, per il futuro dei nostri figli e nipoti, gli small modular reactors e soprattutto la fusione non possano essere fuori da un piano di visione, perché noi stiamo pensando a un futuro energetico molto più avanti che al 2030”. Immediate le reazioni, in primis quelle di Europa Verde “La posizione del ministro è inaccettabile perché con l’inserimento del nucleare nella Tassonomia verde si dirotteranno risorse della transizione ecologica della UE verso un’energia pericolosissima e costosissima sottraendole alle rinnovabili” commentano i co-portavoce nazionali, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi.
Le parole di Cingolani – A margine del Consiglio Ue, ricordando le parole della commissaria Kadri Simson, Cingolani ha definito la tassonomia un documento ‘rolling’, che va aggiornato probabilmente su scala annuale. “Credo che sarà un documento abbastanza ampio – ha commentato – non avrebbe senso un documento troppo verticale. Io ho detto che la transizione è una maratona, noi stiamo parlando oggi per il 2025, quindi se al 2030 possiamo considerare un futuro abbastanza prevedibile con le tecnologie attuali, dobbiamo anche avere il coraggio di pensare che fra 20-30 le tecnologie di oggi saranno desuete”.
In effetti, le parole pronunciate dal ministro danno l’idea di quanto ‘ampio’ dovrebbe essere a suo avviso il documento: “Oltre a ottimizzare le rinnovabili come stiamo facendo, a utilizzarle massicciamente, a sviluppare idrogeno, chi si occupa ad esempio di sviluppare batterie beyond lithium, oltre il litio? Veramente crediamo di poter fare accumulo con il litio? Veramente crediamo di poter fare centinaia di migliaia TWh di energia accumulati con le batterie di oggi?”. E su nucleare e cattura di carbonio la posizione è ormai chiara: “Serve uno sforzo. Chi si occupa di sviluppare gli small modular reactors che hanno caratteristiche completamente diverse dal vecchio nucleare? La fusione richiede più investimenti. Chi si occupa di sviluppare metodologie nuove per la carbon capture?”. Secondo il ministro, per raggiungere le emissione net zero entro il 2050 “bisognerà sviluppare dei sistemi di cattura più efficienti di quelli che abbiamo oggi”.
L’appello delle ong e le reazioni – Una posizione espressa nello stesso in giorno in cui proprio al ministro, oltre che al premier Mario Draghi, si sono rivolti Wwf, Greenpeace, Legambiente e T&E (Transport and Environment), con un appello per “respingere gli assalti di chi vuole far rientrare tra gli investimenti sostenibili nella Ue anche tecnologie che sostenibili non sono affatto, come gas e nucleare”. Un appello nel quale si ricorda che la Tassonomia deve fornire un riferimento certo per sapere quali investimenti sono in linea con gli obiettivi dell’Ue sul clima (taglio del 55% delle emissioni al 2030 rispetto al 1990 e zero emissioni nette al 2050) e che le regole attuali (che al momento escludono gas e nucleare) “sono state definite sulla scorta delle raccomandazioni di un Technical Expert Group, composto da soggetti prevalentemente provenienti dal mondo della finanza”.
Dopo le parole del ministro, le reazioni di Bonelli ed Evi di Europa Verde sulle dichiarazioni pronunciate “senza un mandato del Parlamento, sapendo che l’Italia con due referendum ha votato contro l’energia atomica”. “Siamo esterrefatti – aggiungono – dal silenzio-assenso da parte di alcune forze politiche che nulla dicono di un ministro che in modo autoritario e senza confronto democratico ha deciso che il nucleare debba essere inserito come energia verde finanziabile dalla Ue”. Nessun commento dal M5S, mentre non è un mistero la posizione della Lega. Già nei giorni scorsi Matteo Salvini aveva chiesto che il premier Mario Draghi prendesse posizione sul nucleare di ultima generazione, definito dal leader della Lega “sicuro e green”. E ora si dice d’accordo con il ministro Cingolani.
Verso la nuova Tassonomia – Una posizione attesa soprattutto dopo che alla Cop 26 l’Italia non ha sottoscritto (come fatto da Germania, Austria, Lussemburgo, Portogallo, Danimarca e Spagna) una dichiarazione contro l’inserimento del nucleare nella tassonomia Ue. Una dozzina, invece, i Paesi (guidati dalla Francia) che si sono schierati per l’inserimento dell’energia dell’atomo dalla quale, già oggi, deriva un quarto della produzione di elettricità dell’Unione (106 i reattori in funzione in 13 Stati, un paio dei quali hanno dichiarato di voler abbandonare il nucleare). Di fatto, sette Paesi hanno in programma di espandere le proprie capacità produttive, costruendo nuovi reattori. Una volta presentata la proposta della Commissione, entro sei mesi saranno però Parlamento e il Consiglio europeo a dire l’ultima parola. Almeno sulle sovvenzioni, che sono un punto cruciale. E restano molti dubbi, perché a fronte delle emissioni zero, ci sono i problemi che riguardano, ad esempio, la produzione e lo stoccaggio delle scorie radioattive. E l’Italia ne sa qualcosa.
Le scorie e il deposito nazionale – A riguardo, sarà pubblicato il 15 dicembre il resoconto del seminario sul deposito nazionale di rifiuti radioattivi che si è chiuso nei giorni scorsi e durante i quali la Sogin si è confrontata in nove incontri con Enti locali, associazioni, comitati, organizzazioni sindacali, esperti e singoli cittadini delle 67 località ritenute potenzialmente idonee. L’investimento di circa 900 milioni di euro per realizzare deposito e parco tecnologico sarà finanziato dalla componente tariffaria A2Rim (ex componente A2) della bolletta elettrica, che già copre i costi dello smantellamento degli impianti nucleari, mentre per la gestione degli altri rifiuti (come quelli medicali) il finanziamento avverrà attraverso una tariffa di conferimento, che i produttori privati corrisponderanno all’esercente del deposito per lo smaltimento. Dal 2001 al 2018, dei 3,7 miliardi di euro pagati dai consumatori in bolletta, solo 700 milioni sono stati spesi nello smantellamento, realizzando fino al 2018 solo un terzo del programma. Il resto è andato ai costi di gestione e per far trattare il combustibile radioattivo in Francia e nel Regno Unito. Ogni anno lo Stato spende 60 milioni di euro per stoccare all’estero parte dei rifiuti nucleari.
I territori potenzialmente idonei dicono ‘no’ – Da qui l’importanza del deposito, ma nessuno dei 67 territori indicati come idoneo ha intenzione di accoglierlo, dalla Puglia al Lazio, dal Piemonte alla Toscana. Questo è emerso dagli incontri pubblici organizzati finora da Sogin, mentre non si contano le manifestazioni in piazza per dire no all’impianto. Da metà dicembre si aprirà la seconda fase della consultazione pubblica, che durerà altri trenta giorni, durante la quale potranno essere inviate eventuali altre osservazioni e proposte tecniche. Al termine di questa fase, con la pubblicazione della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), le Regioni e gli Enti locali potranno esprimere le proprie manifestazioni d’interesse, non vincolanti, ad approfondire ulteriormente l’argomento. Si preannuncia una strada in salita.