"Non è una mia scelta essere qui", ha detto il 36enne britannico sette volte campione del mondo. Ma ha ritenuto inutile rinunciare a correre in segno di protesta: "Lo sport ha scelto di essere qui e, che sia un bene o un male, penso che mentre siamo qui sia importante sensibilizzare". E Sebastian Vettel affitta una pista di kart solo per far correre piloti donna
“Se qualcuno vuole prendersi il tempo per leggere qual è la legge per la comunità Lgbtq+ qui, è piuttosto terrificante. Ci sono cambiamenti che devono essere fatti. E quelli che già sono stati fatti vanno controllati: ad esempio il diritto alle donne di poter guidare del 2018 è davvero in vigore?”, ha scritto Lewis Hamilton in un post Twitter riguardo l’Arabia Saudita. Il 36enne britannico 7 volte campione del mondo si trova infatti a Jeddah per la penultima gara del mondiale, e “non si sente tranquillo”.
Il mondiale di Formula 1 si decide nelle ultime tre gare, tutte nel Golfo Persico: Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. È la prima volta che si corre in questi Paesi, e a Losail, in Qatar, Hamilton ha riaperto il mondiale portandosi a otto punti da Max Verstappen. Per le gare conclusive, il pilota britannico ha deciso di indossare un casco speciale color arcobaleno, come la bandiera del movimento Lgbtq+ in difesa dei diritti di genere. Arrivato in Arabia Saudita per la gara del 5 dicembre, Hamilton ha dichiarato a Sky Sport di essere “sereno come non mai” per la corsa agli 8 punti che lo dividono dall’ottavo mondiale, ma per niente tranquillo di correre in un Paese dove non sono riconosciuti i diritti delle persone non eterosessuali e in cui le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini.
“Non posso affermare di essere il più informato e di avere una comprensione profonda di chi è cresciuto qui ed è fortemente influenzato da determinate regole e dal regime politico in vigore. Mi sento a mio agio qui? Non risponderei sì, ma non è una mia scelta essere qui”, ha affermato. Infatti quella di disputare il mondiale nelle nazioni del Golfo è stata una scelta della Formula Uno, come la Fifa ha deciso di disputare in Qatar i mondiali di calcio del 2022. Problemi che non si pongono anche esponenti politici internazionali che, finito il loro mandato o ancora in carica come il senatore Matteo Renzi, intrattengono rapporti economici con fondi legati alle petromonarchie per speech e ruoli in loro fondazioni.
Inutile rinunciare a correre in segno di protesta: “Lo sport ha scelto di essere qui – ha poi aggiunto – e che sia un bene o un male, penso che mentre siamo qui sia importante sensibilizzare”. Così Hamilton ha deciso di correre con il casco arcobaleno, per continuare la sua battaglia, come ha ribadito in un primo post su Twitter in cui una foto del casco è accompagnata dalla quote “Equality for all“. Ma non è solo. Sebastian Vettel, quattro volte campione del mondo, ex Ferrari che oggi corre a bordo della Aston Martin, ha affittato un’intera pista di kart per far correre piloti donna locali, unendosi alla protesta del campione inglese. Non è la prima volta che Hamilton e Vettel sono uniti nella battaglia per i diritti Lgbtq+. Anche in Ungheria, il 29 luglio dello scorso anno, i due si sono schierati con la comunità Lgtbq+ ungherese, colpita da una la legge voluta dal premier Viktor Orbán che limita o vieta ai giovani di vedere contenuti omosessuali.
In un secondo post su Twitter il campione del mondo in carica ha dato più spazio al concetto che il motto postato in precedenza racchiude: “Indosserò di nuovo qui e nella prossima gara il casco che avevo in Qatar, perché è un problema. Perché alcune delle donne sono ancora in prigione per aver guidato molti, molti anni fa?”. Per il pilota ci sono ancora molti cambiamenti che devono essere fatti “e penso che il nostro sport debba fare di più a riguardo”, ha concluso il pilota britannico.