Diritti negati ai cittadini che vivono nelle zone del Veneto colpite dagli sversamenti nella falda idrica dei Pfas. Sono almeno sette i punti critici finiti nell’agenda di Marcos Orellana, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle implicazioni per i diritti umani, che sta compiendo una missione ricognitiva in Italia sul fenomeno delle sostanze perfluoroalchiliche che dall’azienda Miteni di Trissino sono finite nel sottosuolo e negli acquedotti delle province di Vicenza, Padova e Verona. Ad elencarli durante un’audizione a porte chiuse avvenuta a Montagnana, sono state le Mamme No Pfas, animatrici del movimento che da anni si batte per la salute dei cittadini e la messa al bando delle sostanze. Erano state loro, assieme a Pfas.land, a inviare una richiesta al Comitato dell’Onu per aprire una finestra internazionale su quello che un testimone, durante il processo in corso a Vicenza, ha definito “il più grave inquinamento da Pfas in Europa”.
“Non abbiamo potuto scegliere se bere o no l’acqua inquinata, almeno dal 2013 al 2017, perché l’acqua che ci arrivava in casa era considerata potabile. Nessuno ci aveva avvertito che conteneva Pfas”. È questa la prima accusa delle Mamme. La seconda riguarda lo screening sanitario incompleto della Regione Veneto: “Non tutti hanno il diritto di sapere quale percentuale di Pfas hanno nel sangue – spiega Michela Zamboni, sintetizzando il documento illustrato a Orellana – Le analisi, infatti, sono state compiute, ma non ancora concluse, solo sui nati dal 1951 al 2014 che vivono nella ‘zona rossa’, mentre non sono previste per chi vive nella zona arancione, che è ugualmente interessata, visto che vi si registrano le stesse patologie e, come dimostrato da recenti studi, anche un eccesso di mortalità da Covid”. La differenza delle due zone è che la prima (30 Comuni nelle tre province) ha la falda e l’acquedotto contaminato, mentre quella arancione (12 Comuni, soprattutto nel Vicentino) registra superamenti di Pfas nelle falde.
“Il terzo diritto è quello dei bambini. Sono state segnalate nascite sottopeso e una maggiore presenza di diabete mellito, ma nessun studio è mai stato pubblicato e nessun neonato è stato preso in carico dalle strutture sanitarie”. Il quarto diritto è quello di sapere se gli alimenti che vengono acquistati sono sicuri, visto che non esiste una certificazione di cibi no Pfas. Il fatto è inquietante perché sono state trovate tracce delle sostanze in frutta, verdura, uova e animali nellef zone contaminate. Ma non vi sono certezze che le filiere alimentari ne siano esenti.
“Ci è stato negato anche il diritto all’informazione – continua Michela Zamboni – visto che abbiamo dovuto ricorrere al Tar per avere dalla Regione Veneto i risultati delle analisi, che non ci sono neppure stati forniti integralmente”. È sulla base di quei dati ottenuti qualche mese fa che Greenpeace e la Mamme No Pfas hanno costruito una mappa dei prodotti a rischio. C’è poi il diritto alla conoscenza della vastità del fenomeno, che potrà essere garantito quando saranno effettuati studi epidemiologici per capire la diffusione nella popolazione. “Da ultimo c’è il diritto alle bonifiche dei terreni della Miteni, ovvero il ripristino ambientale, che non è stato fatto e non si sa se e quando lo sarà”, conclude mamma Zamboni.
All’audizione sono intervenuti numerosi gruppi e movimenti impegnati sui temi ambientali e della salute, tra cui Medicina Democratica e il Comitato Stop Solvay, che si occupa del Pfas trattato dalla multinazionale a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria. La dottoressa Elisa Dalla Benetta di Zimella, in provincia di Verona, ha illustrato le drammatiche scoperte che ha fatto da medico di base e che ha raccontato tre anni fa in un’intervista a ilfattoquotidiano.it. “Non capivo perché ci fossero così tanti tumori e interruzioni di gravidanze nella zona. Quando sono venuta venuti a sapere dell’inquinamento da Pfas mi è stato tutto chiaro”.
“È un fatto storico che i delegati Onu siano in Veneto – ha commentato Alberto Peruffo di Pfas.land –per riscontrare se c’è stata una violazione dei diritti della persona, soprattutto il diritto all’informazione e al rimedio effettivo, cioè la bonifica. Di solito le missioni Onu le fanno in Africa…”. Gli emissari dell’Onu hanno visitato la sede della Miteni, il depuratore di Arzignano (per le lavorazioni della concia), il collettore del Consorzio Arica a Cologna Veneta, l’acquedotto di Lonigo e un’azienda di Legnago che tratta i filtri di carbone utilizzati negli acquedotti e nella barriera idraulica della Miteni per impedire che i Pfas finiscano nella rete idrica.