Era iniziata con la conferenza stampa in grande stile sulla terrazza del Campidoglio. L’entrata in scena da star, le battute ad effetto in favor di telecamera, il giro in Vespa per le strade di Trigoria. Metà Toni Servillo e metà Gregory Peck, un po’ La grande bellezza, un po’ Vacanze romane. Cinema puro. Ma Josè Mourinho ormai è solo questo. Quando quest’estate i Friedkin lo avevano scelto come testimonial e guida della loro nuova Roma, il suo sbarco nella Capitale era stato accolto con comprensibile entusiasmo, per non dire delirio collettivo come accade spesso da queste parti. Mourinho è sempre Mourinho, ce lo ricordiamo bene in Italia: è lo SpecialOne, l’eroe del Triplete dell’Inter. O forse sarebbe meglio dire era, e quasi per uno scherzo del destino questa consapevolezza si è materializzata proprio nell’incrocio con i nerazzurri, con cui Mourinho ha toccato il punto più alto della sua carriera, mentre oggi vive quello più basso.
Lo 0-3 di sabato sera all’Olimpico è un’umiliazione che la Roma raramente ha provato, non tanto per il punteggio (l’imbarcata può capitare), ma per come è maturato, senza nemmeno provarci, con un catenaccio indegno per l’ultima delle provinciali, in totale balia dell’avversario dal primo all’ultimo secondo. Certo, viste le numerose assenze non era la partita migliore per giudicare i giallorossi, ma l’alibi non regge. Nel post partita il portoghese ha parlato di “potenziale offensivo praticamente nullo”, ma in realtà mancava solo Abraham: c’era Shomurodov (che è stato acquistato per fare la sua prima riserva); c’era Zaniolo, la stella che fin qui non è riuscita a segnare nemmeno un gol in campionato; c’era Mkhitaryan che Mourinho ha retrocesso a mezzala; ci sarebbe stato anche Borja Mayoral, attaccante da 17 gol stagionali l’anno scorso, fatto fuori insieme ad altre valide alternative come Villar e Diawara per poi lamentarsi ogni domenica di non avere alternative.
Da quando è iniziato il campionato, esaurita l’onda dell’entusiasmo iniziale (che è durata davvero troppo poco), alle prime difficoltà Mourinho ha cominciato a prendersela con calciatori e società. Ma questa Roma, che certo non sarà uno squadrone, non è nemmeno così scarsa. Sicuramente non può essere più scarsa dell’anno passato, considerato che in un’estate segnata dalla crisi del Covid, durante cui i campioni d’Italia sono stati smantellati e le rivali sono rimaste a guardare, il club dei Friedkin è stato l’unico che ha speso. Oltre 100 milioni di euro, se ci mettiamo dentro anche i riscatti dei prestiti. Certo, si può discutere se l’abbia fatto bene o male. Ma anche su questo Mourinho avrà le sue responsabilità, per aver quantomeno avallato le scelte del direttore Tiago Pinto, senza considerare che sul grande colpo Abraham si è speso in prima persona. Comunque la si pensi, la squadra è stata rinforzata rispetto alla formazione che Fonseca era riuscita a tenere a lungo nel gruppo di testa e a portare in semifinale di Europa League, prima di naufragare nel finale. Fin qui Mourinho ha fatto ben peggio del suo criticato predecessore (-8 punti in campionato, è la squadra maggiormente peggiorata di tutta la Serie A). E non è stato messo in discussione solo per la storia ed il rispetto che si porta dietro. In Inghilterra del resto lo avevano scoperto da tempo, adesso forse ce ne stiamo accorgendo pure in Italia.
Per colmare il gap ci vuole tempo ma dopo tutti i soldi spesi rimanere fuori dalla Champions (che dista già 9 punti) sarebbe una batosta. Mentre in Conference League, altro obiettivo stagionale, per adesso è arrivata solo la figuraccia storica col Bodo Glimt. È presto per dare per fallito il progetto della Roma, perché la squadra potrà riprendersi, migliorare e magari anche vincere nei prossimi anni (specie se continuerà ad avere questa disponibilità economica che alle altre manca). Certo, comincia però a venire il dubbio che Mourinho sia l’allenatore migliore a cui affidarlo. E non perché mancano i risultati (quelli possono tardare quando si avvia un nuovo ciclo), ma perché manca tutto il resto. Non c’è un’identità di squadra, non c’è un’idea di calcio in un calcio nuovo, che è profondamente cambiato negli ultimi tempi. Mentre Mou è rimasto lo stesso di dieci anni fa.
Come un grande attore un po’ imbolsito, che ripete le solite gag di sempre. La corsa forsennata sotto la curva, ma per una vittoria banale all’ultimo minuto contro il Sassuolo. Le frecciate ripetute contro arbitri e società, ma senza motivo. Il copione recitato dopo la sconfitta con l’Inter in tv e conferenza stampa senza rispondere alle domande, per una polemica che nessuno ha capito. È una sceneggiata continua. Un film già visto, che dieci anni dopo, e soprattutto senza i risultati del campo che erano la vera trama da raccontare, non appassiona più. Un sequel un po’ triste, che è la copia sbiadita dell’originale.