“La questione salariale è aggravata dalla proliferazione dei cosiddetti contratti collettivi pirata che da fattore residuale è divenuto fenomeno largamente diffuso con effetti rilevanti sul nostro sistema di relazioni industriali”. Parola del ministro del Lavoro Andrea Orlando che da Bruxelles ha ribadito come i contratti nazionali sottoscritti da sigle di rappresentanza minori, fittizie o “di comodo” contribuiscano non poco all’emergenza del lavoro povero in Italia. Cnel e Inps, che lunedì hanno presentato il nuovo Codice unico dei contratti, hanno contato al 22 novembre un totale di 933 contratti collettivi per i dipendenti del settore privato, 77 in più (+9%) rispetto a novembre 2020. Tra questi 54 coprono il 75% dei lavoratori (12 milioni). Gli altri sono un Far west: ci sono, tra il resto, 450 Ccnl – applicati a poco più di 1,5 milioni di persone – sottoscritti da organizzazioni sindacali rappresentate al Cnel con organizzazioni datoriali non rappresentate. E 353 contratti, che portano la firma sia di sindacati sia di raggruppamenti di imprese non rappresentati, coprono solo 33mila lavoratori.

“La proliferazione dei Ccnl ha un obiettivo preciso: ridurre salari, tutele, non riconoscendo quello che invece i principali sindacati di riferimento sulla contrattazione riconoscono“, ha commentato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Occorrerebbe “un intervento normativo da una parte sul salario minimo legale, dall’altra sulla rappresentanza contrattuale, per raggiungere l’obiettivo di non favorire il dumping sociale”. Oggi, nonostante una lunga teoria di tentativi delle parti sociali e dei governi ancora non esiste ad oggi un meccanismo di misurazione della rappresentatività delle sigle sindacali. Nell’attesa si sono mossi Inps e Cnel che dal 2019 hanno avviato una mappatura dei contratti sulla base di un accordo con Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e Ispettorato Nazionale del Lavoro. “Questa di oggi è l’anticamera della rappresentatività, quello che stanno facendo il Cnel e l’Inps sulla certificazione dei contratti, e quindi sulla semplificazione, mira da una parte a ridurre ed eliminare l’evasione contributiva e dall’altra a creare codici unici per tutte le amministrazioni, in modo che si sappia quali sono i contratti di riferimento, applicati dalle maggiori organizzazioni sindacali e dai datori di lavoro, e si possa fare una operazione di trasparenza e di chiarezza su questo. Oggi i contratti maggiormente rappresentativi sono minoranza rispetto a quelli non rappresentativi”.

“Un’unica banca dati che identifichi i contratti e li classifichi è una novità epocale per il nostro Paese”, ha aggiunto il presidente del Cnel, Tiziano Treu. “Vorremmo usare questo strumento nuovo per rendere pubblica la grande varietà di contratti ma soprattutto la disparità di applicazione di tutele e clausole. Il codice unico ci consente di fare un passo avanti storico perché permetterà di approfondire anche i contenuti di ogni contratto. Per la prima volta, grazie all’unione delle banche dati, gli accordi che presentano elementi sospetti, d’accordo con Inps, li segnaleremo all’Inl”.

Oggi i 128 Ccnl sottoscritti da datoriali e sindacati rappresentati al Cnel (pari al 14% dei contratti vigenti) coprono più di 10 milioni e 660mila lavoratori (pari all’87% del totale). L’86% dei ccnl è firmato da sindacati e/o organizzazioni datoriali non rappresentate al Cnel. 450 sono stati sottoscritti da organizzazioni sindacali rappresentate al Cnel con organizzazioni datoriali non rappresentate. Si tratta “in prevalenza di Ccnl sottoscritti da organizzazioni aderenti a Confsal, Cisal, CIU e UGL, ma anche da organizzazioni aderenti a Cgil, Cisl e Uil, ad esempio quelli stipulati con Confapi, ANIA e Federdistribuzione, che nell’attuale Consigliatura non sono rappresentate al Cnel”.

In sette settori contrattuali su 12 il contratto maggiormente applicato copre da solo almeno la metà di tutti i lavoratori dipendenti del settore: si tratta di “meccanici”, “tessili”, “alimentaristi”, “terziario, distribuzione, servizi”, “trasporti”, “credito e assicurazioni”, “CCNL plurisettoriali, microsettoriali, altri”. In tutti i settori contrattuali, i primi cinque contratti maggiormente applicati coprono almeno l’80% dei lavoratori, e in sei settori su 12 ne coprono più del 90%. Gli incrementi percentuali maggiori rispetto al novembre 2020 si contano nei settori dei chimici (+38%), del lavoro domestico (+22%) e di istruzione, sanità, assistenza, cultura, enti (+17,5%). L’unico settore contrattuale in cui il numero di contratti diminuisce è edilizia, legno, arredamento (-6,6%).

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