Da Palermo a Verona (sponda Chievo), da Salerno a Catania, fino alle avventure in Inghilterra, Ungheria e Grecia. La carriera di Giuseppe Sannino da Ottaviano (Napoli) è quella di un allenatore globetrotter. Ma nemmeno lui anni fa avrebbe potuto immaginare che un giorno sarebbe finito a guidare una delle principali squadre di un campionato sconosciuto in Europa, dove al calcio si mischiano politica, guerra e lotte per il potere territoriale. Oggi Sannino è il tecnico di una squadra che non ha una storia qualsiasi nella Libia falcidiata da dieci anni di conflitto. Adesso è il tecnico dell’al-Ittihad di Tripoli, club che fino a un decennio fa godeva della simpatia del Raìs Muammar Gheddafi e dove ha militato anche uno dei suoi figli, al-Saadi, poi finito a indossare la maglia biancorossa del Perugia di Gaucci. Oggi, in un Paese dove il fuoco del conflitto è ancora ardente, placato solo dalle imminenti elezioni del 24 dicembre, alla guida della società più titolata c’è il tecnico partenopeo che nella prima giornata ha già ottenuto 3 punti. “Al di là del vincere – racconta a Ilfattoquotidiano.it -, l’importante era la prestazione e partire con il piede giusto dopo due mesi e mezzo. Anche perché sono straniero e ci sono aspettative che devo confermare”.
Chi ben comincia…
Non esistono partite facili e quest’anno tutte le squadre si sono rinforzate. Alla seconda giornata abbiamo il derby di Tripoli contro l’Al-Ahly. Ma prima dobbiamo giocare contro una squadra nigeriana per l’equivalente dell’Europa League europea. E quindi giovedì partiamo per Monastir in Tunisia.
Non giocate in casa?
Stanno rifacendo tutti gli stadi e non ce n’è uno a norma. Prima di 3-4 mesi non c’è la possibilità di giocare in casa. Peccato, perché i derby a Tripoli attiravano fino a 90mila persone.
Come sono i tifosi?
Hanno una passione incredibile e vivono per la loro squadra. Facciamo l’allenamento a porte chiuse perché se lo facessimo a porte aperte avremmo 5mila persone. L’amore per la squadra a volte è anche troppo pressante.
Come se lo spiega?
Avendo vissuto la guerra, per loro il calcio è una via di fuga, un modo di stare insieme.
E la società?
Ho grande stima del presidente, l’imprenditore Mahmoud Abouda, e dei suoi valori. Potrà finire in qualsiasi modo ma per come si è posto con me posso solo parlarne bene. Mi ha fatto capire che mi avrebbe supportato in tutto.
Per esempio?
Siamo andati in Tunisia e il club attraverso il tesoriere ci ha fatto avere soldi in valuta locale.
Credono in lei, insomma. Pane per i suoi denti…
Ho mangiato polvere ma ho dei valori. Sono un aziendalista: se mi assumi sei il mio punto di riferimento. Non bacio le maglie ma sono un professionista: do il cento per cento per il mio datore di lavoro.
Per questo ha lasciato l’Italia?
Non penso di essere uno stupido. Per arrivare in Serie A ho dovuto mangiare tanta polvere. Ma in Italia viviamo un momento particolare: Mancini ha portato la Nazionale a vincere l’Europeo ed è criticato perché deve fare lo spareggio per i Mondiali. Qualcosa non va.
L’ha notato anche sulla sua pelle?
A causa della pandemia, sono ritornato dall’Ungheria dove avevo portato l’Honvéd in finale di Coppa. Non avendo agenti, ho telefonato ad alcuni presidenti di società di C retrocesse e poi ripescate. Mi dicevano: “Quale onore sarebbe per noi…”. Ma non li ho più sentiti. Una di queste squadre, il Ravenna, è retrocessa di nuovo.
Rimpianti?
No. Anzi, devo ringraziarli perché mi hanno fatto capire che anche in Serie C il mio tempo era finito: non c’era più posto per me.
Lo avrà pensato tante volte negli ultimi anni quando si è dimesso…
Se non c’è una linea condivisa e tu stai lì per i soldi alla fine ti mandano via lo stesso. Gli allenatori dicono: “Io vado avanti lo stesso, non abbandono la squadra”. Ma quando sei in una situazione simile sai già che ti mettono nelle condizioni di andare. Bisogna avere la pretesa di avere le proprie idee e non tradirle.
Però gli allenatori tengono famiglia.
Infatti quando mi sono dimesso ho sempre detto: “Lascio tutto ma pagate gli assistenti”. E a loro dicevo: “Se volete restare, dovete farlo”.
Cambierà qualcosa in Italia?
No. Siamo il popolo che etichetta. E quando ti etichettano ti hanno etichettato. Se un presidente vuole prendere Sannino, tanta gente gli dice “è vecchio, l’hanno mandato via ovunque”.
“Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu sei”, direbbe Machiavelli.
So come gira il mondo del calcio, quanti agenti propongono allenatori. Io sono Sannino senza nessuno.
Quali sono i suoi piani per il futuro, allora?
In primo luogo, vorrei costruire qui in a Tripoli una squadra con una mentalità europea e far capire ai ragazzi che se lavorano bene possono aprirsi diversi orizzonti per loro.
Quali orizzonti vede davanti a lei, invece?
Potevo essere in Iraq, Arabia Saudita, Qatar o Finlandia. L’importante è avere un campo di calcio e dei ragazzi da allenare. E poter guardare in faccia tutti senza abbassare lo sguardo.
HomeSport Calcio
Dalla Serie A alla squadra di Gheddafi, mister Sannino riparte dalla Libia: “Qui una passione incredibile, il calcio è fuga dalla guerra”
Oggi il tecnico partenopeo siede sulla panchina dell'al-Ittihad, il club più titolato del Paese dove ha militato anche il figlio dell'ex Raìs, al-Saadi, e nella prima giornata ha già portato a casa 3 punti. A Ilfattoquotidiano.it racconta i motivi che lo hanno portato ad allontanarsi dai campionati europei, soprattutto italiani, per rimettersi in gioco in un Paese falcidiato da dieci anni di conflitto
Da Palermo a Verona (sponda Chievo), da Salerno a Catania, fino alle avventure in Inghilterra, Ungheria e Grecia. La carriera di Giuseppe Sannino da Ottaviano (Napoli) è quella di un allenatore globetrotter. Ma nemmeno lui anni fa avrebbe potuto immaginare che un giorno sarebbe finito a guidare una delle principali squadre di un campionato sconosciuto in Europa, dove al calcio si mischiano politica, guerra e lotte per il potere territoriale. Oggi Sannino è il tecnico di una squadra che non ha una storia qualsiasi nella Libia falcidiata da dieci anni di conflitto. Adesso è il tecnico dell’al-Ittihad di Tripoli, club che fino a un decennio fa godeva della simpatia del Raìs Muammar Gheddafi e dove ha militato anche uno dei suoi figli, al-Saadi, poi finito a indossare la maglia biancorossa del Perugia di Gaucci. Oggi, in un Paese dove il fuoco del conflitto è ancora ardente, placato solo dalle imminenti elezioni del 24 dicembre, alla guida della società più titolata c’è il tecnico partenopeo che nella prima giornata ha già ottenuto 3 punti. “Al di là del vincere – racconta a Ilfattoquotidiano.it -, l’importante era la prestazione e partire con il piede giusto dopo due mesi e mezzo. Anche perché sono straniero e ci sono aspettative che devo confermare”.
Chi ben comincia…
Non esistono partite facili e quest’anno tutte le squadre si sono rinforzate. Alla seconda giornata abbiamo il derby di Tripoli contro l’Al-Ahly. Ma prima dobbiamo giocare contro una squadra nigeriana per l’equivalente dell’Europa League europea. E quindi giovedì partiamo per Monastir in Tunisia.
Non giocate in casa?
Stanno rifacendo tutti gli stadi e non ce n’è uno a norma. Prima di 3-4 mesi non c’è la possibilità di giocare in casa. Peccato, perché i derby a Tripoli attiravano fino a 90mila persone.
Come sono i tifosi?
Hanno una passione incredibile e vivono per la loro squadra. Facciamo l’allenamento a porte chiuse perché se lo facessimo a porte aperte avremmo 5mila persone. L’amore per la squadra a volte è anche troppo pressante.
Come se lo spiega?
Avendo vissuto la guerra, per loro il calcio è una via di fuga, un modo di stare insieme.
E la società?
Ho grande stima del presidente, l’imprenditore Mahmoud Abouda, e dei suoi valori. Potrà finire in qualsiasi modo ma per come si è posto con me posso solo parlarne bene. Mi ha fatto capire che mi avrebbe supportato in tutto.
Per esempio?
Siamo andati in Tunisia e il club attraverso il tesoriere ci ha fatto avere soldi in valuta locale.
Credono in lei, insomma. Pane per i suoi denti…
Ho mangiato polvere ma ho dei valori. Sono un aziendalista: se mi assumi sei il mio punto di riferimento. Non bacio le maglie ma sono un professionista: do il cento per cento per il mio datore di lavoro.
Per questo ha lasciato l’Italia?
Non penso di essere uno stupido. Per arrivare in Serie A ho dovuto mangiare tanta polvere. Ma in Italia viviamo un momento particolare: Mancini ha portato la Nazionale a vincere l’Europeo ed è criticato perché deve fare lo spareggio per i Mondiali. Qualcosa non va.
L’ha notato anche sulla sua pelle?
A causa della pandemia, sono ritornato dall’Ungheria dove avevo portato l’Honvéd in finale di Coppa. Non avendo agenti, ho telefonato ad alcuni presidenti di società di C retrocesse e poi ripescate. Mi dicevano: “Quale onore sarebbe per noi…”. Ma non li ho più sentiti. Una di queste squadre, il Ravenna, è retrocessa di nuovo.
Rimpianti?
No. Anzi, devo ringraziarli perché mi hanno fatto capire che anche in Serie C il mio tempo era finito: non c’era più posto per me.
Lo avrà pensato tante volte negli ultimi anni quando si è dimesso…
Se non c’è una linea condivisa e tu stai lì per i soldi alla fine ti mandano via lo stesso. Gli allenatori dicono: “Io vado avanti lo stesso, non abbandono la squadra”. Ma quando sei in una situazione simile sai già che ti mettono nelle condizioni di andare. Bisogna avere la pretesa di avere le proprie idee e non tradirle.
Però gli allenatori tengono famiglia.
Infatti quando mi sono dimesso ho sempre detto: “Lascio tutto ma pagate gli assistenti”. E a loro dicevo: “Se volete restare, dovete farlo”.
Cambierà qualcosa in Italia?
No. Siamo il popolo che etichetta. E quando ti etichettano ti hanno etichettato. Se un presidente vuole prendere Sannino, tanta gente gli dice “è vecchio, l’hanno mandato via ovunque”.
“Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu sei”, direbbe Machiavelli.
So come gira il mondo del calcio, quanti agenti propongono allenatori. Io sono Sannino senza nessuno.
Quali sono i suoi piani per il futuro, allora?
In primo luogo, vorrei costruire qui in a Tripoli una squadra con una mentalità europea e far capire ai ragazzi che se lavorano bene possono aprirsi diversi orizzonti per loro.
Quali orizzonti vede davanti a lei, invece?
Potevo essere in Iraq, Arabia Saudita, Qatar o Finlandia. L’importante è avere un campo di calcio e dei ragazzi da allenare. E poter guardare in faccia tutti senza abbassare lo sguardo.
Articolo Precedente
L’ultima sfida del Tromsoe: la nuova maglia da gioco è un QR code che rimanda alle notizie sui diritti calpestati per i Mondiali in Qatar
I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.
Ultimi articoli di FQ Sport
F1 & MotoGp
MotoGp, ancora Marquez y Marquez nella gara sprint in Argentina. I due fratelli davanti a Bagnaia
F1 & MotoGp
MotoGp, in Argentina nuova pole di Marc Marquez: lo spagnolo davanti al fratello Alex e Zarco. Quarto Bagnaia
Sport
Pubblicati i nomi delle ditte in gara, annullato il bando per gli impianti di risalita per Milano-Cortina 2026
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".
Whasington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno affermato che gli attacchi aerei contro l'arsenale degli Houthi, gran parte del quale è sepolto in profondità nel sottosuolo, potrebbero durare diversi giorni, intensificandosi in portata e scala a seconda della reazione dei militanti. Lo scrive il New York Times. Le agenzie di intelligence statunitensi hanno lottato in passato per identificare e localizzare i sistemi d'arma degli Houthi, che i ribelli producono in fabbriche sotterranee e contrabbandano dall'Iran.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno detto al New York Times che il bombardamento su larga scala contro decine di obiettivi nello Yemen controllato dagli Houthi - l'azione militare più significativa del secondo mandato di Donald Trump - ha anche lo scopo di inviare un segnale di avvertimento all'Iran. Il presidente americano - scrive il quotidiano Usa- vuole mediare un accordo con Teheran per impedirgli di acquisire un'arma nucleare, ma ha lasciato aperta la possibilità di un'azione militare se gli iraniani respingono i negoziati.