Il presidente del Consiglio Mario Draghi lo ha scritto ufficialmente: non esiste alcun atto secretato sul caso Moby Prince. Nella sua lettera alla Commissione d’inchiesta sulla vicenda istituita il 12 maggio 2021 ha precisato che “non risultano apposti limiti all’accesso della documentazione in possesso del Comando generale o della Capitaneria di porto a seguito delle richieste formulate da parte dell’Autorità giudiziaria e delle commissioni parlamentari”. Tutto pubblico quindi nonostante l’appello dei familiari delle vittime lasciasse intendere la necessità di una declassificazione e alcuni riscontri d’archivio raccontino come alcuni documenti che potrebbero essere utili alle indagini magari non sono stati secretati ma, allo stesso tempo, non sono mai stati consegnati.
Raggiunto da ilfattoquotidiano.it il presidente della Commissione d’inchiesta Andrea Romano rassicura: “L’indicazione del presidente Draghi riguarda tutti gli atti ufficiali relativi alla Moby Prince, che per competenza passano dal Ministero dei Trasporti essendo vicenda relativa a marineria civile”. Inclusa quindi la documentazione dei servizi segreti italiani? “Ogni atto di secretazione disposto dal Governo deve passare dal ministero competente, anche quando coinvolge i servizi – precisa Romano a ilfattoquotidiano.it – Quindi il Presidente Draghi ci ha scritto che non è mai stata disposta alcuna secretazione e che è tutto pubblico”. I dubbi su atti, magari non secretati, ma ancora mai consegnati agli inquirenti purtroppo restano. Ce lo raccontano almeno tre storie d’archivio di questa vicenda, innescata il 10 aprile 1991 dall’incidente, costato la vita a 140 persone, tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo.
Mancano in atti alcuni documenti della Marina Militare. Nonostante le richieste di trasmissione della precedente Commissione d’inchiesta Moby Prince, che ha ribaltato il racconto della vicenda nel 2018, la Marina Militare italiana e in particolare il Dipartimento Marittimo “Alto Tirreno”-Maridipart La Spezia non ha infatti mai trasmesso alcun rapporto interno o registro delle sue attività compiute la notte tra il 10 e l’11 aprile 1991. L’autorità aveva allora per legge il ruolo di coordinamento del soccorso nei casi come quello Moby Prince in cui la Capitaneria di porto competente si fosse dimostrata incapace o impossibilitata per carenza di mezzi ad assicurare la salvaguardia della vita in mare.
Ufficialmente il mancato coordinamento del soccorso – avvenuto la notte della strage e costato la vita a molte delle vittime sopravvissute ore a bordo del traghetto – è attribuito alla Capitaneria di Porto di Livorno guidata allora dal comandante Sergio Albanese, archiviato sul caso grazie alla tesi – smentita nel 2018 – della sopravvivenza delle vittime fermatasi entro la mezzora dopo l’incidente. Tuttavia un documento riemerso di recente dagli archivi, a firma del generale dell’Aeronautica Giulio Mainini, descriveva già il 21 maggio 1994 al suo Stato Maggiore come il soccorso durante la notte dell’incidente fosse nelle mani della Marina Militare, quindi di Maridipart La Spezia. Autorità che quindi agì, impartì ordini, dettagliò presumibilmente rapporti di cui ad oggi manca qualsiasi traccia o trasmissione sia all’autorità giudiziaria che alla Commissione d’inchiesta Moby Prince.
Non solo. Una prima storia si era aperta il 7 dicembre 2006, quando l’allora magistrato titolare dell’inchiesta bis Moby Prince, Antonio Giaconi, scrisse ai vertici dei servizi segreti italiani Nicolò Pollari e Franco Gabrielli, a capo rispettivamente di Sismi e Sisde. Il pm chiese esplicitamente di trasmettere alla procura di Livorno “ogni eventuale elemento e informazione raccolta” dai servizi sulla vicenda. Pollari e Gabrielli risposero con circa 500 pagine di documentazione “riservata” cui la procura appose l’indicazione “vincolo di vietata divulgazione” e tra questi documenti, mai trasmessi prima all’autorità giudiziaria, inserirono numerosi rapporti sulle attività di indagine svolte dai servizi sul caso Moby Prince. Ne mancava però almeno uno: il rapporto secretato della Divisione Controproliferazione e Procurement del Dipartimento Ricerca del Sismi datato 21 aprile 2004, su cui attualmente ruota la nuova inchiesta della procura livornese.
È noto perché quest’ultima ha appreso l’esistenza del rapporto solo nel febbraio 2017 scoprendo dalla stampa che era stato declassificato il 30 gennaio 2017 su pressione della Commissione rifiuti della Camera dei Deputati che lo aveva acquisito. Il rapporto, centrato sul faccendiere Giorgio Comerio, pone l’incidente Moby Prince in un diagramma di flusso nell’intersezione tra Iraq e Italia, connettendolo ad una “rete di traffici paralleli (Armi, Scorie, Rifiuti tossici)”, in collegamento con la “rete della presenza e degli interessi italiani in Somalia”. L’allora direzione del Sismi omise quindi di includere questo documento secretato negli atti trasmessi alla procura di Livorno che stava indagando proprio sulle ipotesi di coinvolgimento dell’incidente Moby Prince in quella rete di traffici paralleli indicati dal rapporto. Ad oggi né Pollari né altre figure del Sismi sono mai state chiamate a chiarire riguardo a questa omissione. Il servizio segreto militare aveva quel documento “secretato” e non lo fornì alla procura di Livorno, nonostante ne inviò altri “riservati”.
Alcune evidenze d’archivio portano a considerare che possano esisterne altri. Oltre al rapporto su Comerio, infatti, nella documentazione assicurata dal Sismi alla procura di Livorno nel 2006 mancano atti o informative relative all’agente “Pino” citato dal pentito ‘ndranghetista Francesco Fonti nelle sue deposizioni alla Commissione sui rifiuti della Camera. Secondo Fonti, testimone ritenuto attendibile sul tema, “Pino” gli parlò di attività di depistaggio sul caso Moby Prince ed era direttamente coinvolto in quella rete di traffici illeciti riguardanti il porto di Livorno proprio in periodi corrispondenti all’incidente del 10 aprile 1991. Lo stesso Fonti fu poi sentito dai magistrati il 23 novembre 2009. L’ex boss ‘ndranghetista fornì informazioni rilevanti sul coinvolgimento di uomini della Marina Militare in traffici illeciti relativi al porto della città toscana. Informazioni alle quali seguì una richiesta di archiviazione del caso nel maggio 2010.