Si tratta del Pitesai, il Piano trasmesso due mesi fa dal Ministero della Transizione ecologica alla Conferenza Unificata e attraverso il quale si dovranno individuare le aree dove sarà potenzialmente possibile svolgere (o continuare a svolgere) attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Gli enti territoriali locali sono propensi ad approvarlo, ma con alcune limitazioni. Non è d'accordo il movimento che da sempre si oppone alle trivellazioni
Regioni e Province Autonome preannunciano un sì al Pitesai, il Piano trasmesso due mesi fa dal Ministero della Transizione ecologica alla Conferenza Unificata e attraverso il quale si dovranno individuare le aree dove sarà potenzialmente possibile svolgere (o continuare a svolgere) attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Ma hanno chiesto un rinvio condizionato: non si opporranno all’iter, a patto che si accolga un emendamento per garantire che, nelle aree idonee definite dal piano, possano proseguire solo le attività legate ai permessi di ricerca di gas (escludendo il petrolio). La richiesta, per l’esattezza, riguarda i permessi di ricerca ‘congelati’, ossia quelli vigenti al 13 febbraio 2019 (data in cui è scattata la moratoria) e sospesi fino al 30 settembre 2021, ma anche quelli già sospesi prima della moratoria (per un periodo non superiore a sette anni) per richiesta delle stesse compagnie. Per i No Triv questa richiesta non è sufficiente e “le Regioni stanno per consegnarsi al Governo con mani e piedi legati”, annunciando il sì a un piano “senza zonizzazioni, fatto soprattutto di criteri variabili che gli organi di valutazione potranno utilizzare godendo di grandi margini di discrezionalità. Approvato il piano che non c’è – aggiunge il Coordinamento No Triv – nei futuri contenziosi Regioni ed Enti locali partiranno sconfitti in partenza”.
La posizione della Conferenza Unificata – Le Regioni chiedono di far proseguire le attività di ricerca per questi permessi ‘congelati’ ma solo per individuare riserve di gas. Eppure, ricordano i No Triv, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente il metano è un inquinante climatico di breve durata (SLCP), con una durata atmosferica di circa un decennio ed è un gas serra dieci volte più potente dell’anidride carbonica nel riscaldare l’atmosfera. “Come se non bastasse – scrivono – la richiesta è passata attraverso la formulazione di un emendamento che non regge sotto il profilo normativo, giacché nel nostro ordinamento non si fa distinzione tra istanze e permessi di ricerca di gas o di petrolio”. Le compagnie Oil&Gas, di fatto, oggi avanzano istanze di permesso di idrocarburi al contempo liquidi e gassosi e ottengono permessi di ricerca di idrocarburi sia liquidi che gassosi. “Se anche si accogliesse l’emendamento – commenta il coordinamento No Triv – si potrebbero innescare numerosi contenziosi, in cui i detentori dei permessi di ricerca avrebbero facilmente la meglio”.
Quali procedimenti vanno avanti – Secondo la proposta delle Regioni, le attività di ricerca dei permessi ‘congelati’ potranno proseguire, dunque, solo per individuare riserve di gas e soltanto se “si troveranno a insistere – anche parzialmente – sulle aree che sono state definite come potenzialmente idonee alla presentazione di nuove istanze di permessi di prospezione e di permessi di ricerca”. Cosa accadrà? Si prevede che tali permessi di ricerca siano dichiarati in ‘aree idonee’ (nella cosiddetta situazione post operam, ossia quella di attività già in essere) e che l’attività di ricerca possa proseguire in quanto rispettosa dei criteri ambientali indicati nel Pitesai, con la riperimetrazione d’ufficio, o con l’esclusione per le attività di tutte le eventuali aree non idonee presenti nei permessi. In pratica si assorbe la casistica del Piano trasmesso a settembre scorso, riguardante i procedimenti amministrativi già in essere relativi alle istanze di concessioni di coltivazione. Per i quali si prevede lo stesso iter nel caso ricadano in aree, anche parzialmente, definite come potenzialmente idonee alla presentazione di nuove istanze, mentre se ricadono in aree definite potenzialmente ‘non idonee’, vanno avanti solo se attraverso il permesso di ricerca che ha originato l’istanza di concessione siano stati effettuati pozzi esplorativi da cui sia stato accertato un potenziale minerario esclusivamente di gas per un quantitativo di riserva certa superiore a 150 milioni di metri cubi standard. Questi procedimenti saranno, quindi, dichiarati in ‘aree idonee’ e proseguiranno secondo l’iter valutativo previsto dalla normativa vigente, con l’espletamento della procedura di Via se non effettuata e con la riperimetrazione d’ufficio di tutte le altre aree eventualmente richieste nell’istanza, non connesse all’eventuale sfruttamento del giacimento.
Il peccato originale – “La Via potrà anche tener conto delle previsioni del Pitesai – commentano i No Triv – ma siccome quest’ultimo non è stato adottato ed approvato entro il termine previsto dalla legge 12/2019, il decreto di Via potrà essere tranquillamente impugnato in quanto illegittimo, dando luogo a contenziosi e richieste risarcitorie, anche al termine dell’anomalo iter di raggiungimento dell’intesa, qualora gli interessi delle compagnie dell’ Oil & Gas non dovessero essere soddisfatti”. Secondo quanto previsto dalla legge, il Piano ha la funzione di costituire un quadro territoriale di riferimento condiviso (intesa tra Stato e Conferenza unificata con Regioni, Province, Enti locali), rispetto al quale poter pianificare lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ovvero individuare le aree dove sarà potenzialmente possibile svolgere o continuare a svolgere tali attività. “Contrariamente a quanto previsto dalla legge – denunciano i No Triv – in Conferenza Unificata le Regioni e gli Enti locali sono state chiamate a pronunciarsi su una proposta di piano in cui non sono univocamente indicate le aree per le quali le compagnie potranno o non potranno presentare nuove istanze o dare o non dare prosecuzione ai procedimenti di conferimento per le istanze delle attività di ricerca o di coltivazione già in essere”. Cosa c’è allora nel piano? “Un elenco di criteri di esclusione, molti dei quali ‘variabili’ e rivedibili – spiega il coordinamento – sulla base dei quali gli organi di valutazione (Ministero della Transizione ecologica e Commissione Via) si baseranno per decidere, in modo discrezionale e di volta in volta, se autorizzare o meno attività di ricerca o di estrazione”. Eppure le Regioni sembrano propense al rilascio dell’Intesa. “Una volta approvati i criteri in Conferenza Unificata – spiegano i No Triv – in caso di contenzioso non ci sarà modo di negoziare alcunché col Governo, né di far valere le ragioni dei territori. Con il Sì delle Regioni il Pitesai concederà al Mite ampi margini di manovra nella gestione dei procedimenti autorizzativi”.