Pochi sanno che il dogma dell’Immacolata concezione della Madonna nacque a Napoli. Nel 1848, con lo scoppio della rivoluzione, l’assassinio di Pellegrino Rossi, presidente del Consiglio dello Stato pontificio, e la proclamazione della Repubblica romana guidata da Giuseppe Mazzini, il beato Pio IX abbandonò Roma e si rifugiò a Gaeta, nel Regno delle due Sicilie. Qui ebbe modo di recarsi a Napoli dove, nella Basilica del Gesù vecchio, nel centro della città, si fermò a lungo in preghiera davanti alla statua dell’Immacolata di don Placido Baccher, dichiarato venerabile nel 1944. Fu proprio dinnanzi a questa immagine che il Papa pensò di proclamare il dogma mariano qualora ci fosse stata la restaurazione dello Stato pontificio. E così avvenne.

Nel 1850 il beato Pio IX rientrò a Roma e quattro anni dopo, l’8 dicembre 1854, con la costituzione apostolica Ineffabilis Deus, proclamò solennemente il dogma dell’Immacolata concezione della Madonna. Appena quattro anni più tardi, l’11 febbraio 1858, a Lourdes, un paesino sperduto della Francia ai piedi dei Pirenei, inizieranno le diciotto apparizioni mariane a una ragazza analfabeta, santa Bernadette Soubirous. La Madonna si presenterà alla fanciulla proprio con il titolo del dogma proclamato dal beato Pio IX.

A Napoli e Roma il culto dell’Immacolata è antichissimo. Nella capitale è celebre l’omaggio che ogni anno, l’8 dicembre, il Papa fa all’obelisco della Madonna in piazza di Spagna. Nel 2020 e nel 2021, a causa delle limitazioni imposte dalla pandemia, Francesco ha preferito fare questo semplice, ma molto sentito atto di devozione in forma privata. Fin dal giorno successivo all’elezione al pontificato, Bergoglio si è recato spesso a pregare anche davanti a un’altra immagine mariana molto venerata dai fedeli: la Salus populi romani nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Il Papa ha voluto proprio la copia di questa celebre icona bizantina in una deserta e piovosa piazza San Pietro, il 27 marzo 2020, durante la preghiera con la quale ha chiesto la fine della pandemia.

A Roma sono molto venerate anche altre tre icone mariane: la Madonna del divino amore, nel santuario omonimo; la Madonna delle grazie, nella parrocchia santuario a lei intitolata nel quartiere Trionfale; e la Madonna della fiducia, che dà il nome alla cappella del seminario maggiore. Ma l’8 dicembre c’è anche la bella tradizione di allestire in ogni casa e luogo di lavoro l’albero di Natale e il presepe. Da quelli maestosi presenti in piazza San Pietro (quest’anno l’albero proviene dal Trentino e il presepe dal Perù), a quelli più semplici realizzati con ogni tipo di materiale, perfino riciclato.

Anche quest’anno il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, presieduto dall’arcivescovo Rino Fisichella, ha organizzato, sotto il Colonnato del Bernini in piazza San Pietro, l’esposizione internazionale 100 presepi in Vaticano giunta ormai alla quarta edizione. Per cinque settimane, ovvero fino alla conclusione del tempo natalizio, il 9 gennaio 2022, i visitatori potranno ammirare gratuitamente 126 presepi provenienti da varie nazioni europee come Germania, Ungheria, Slovenia, Slovacchia e Croazia, e del mondo, tra cui Kazakistan, Perù, Indonesia, Uruguay, Colombia e Stati Uniti. Molte di queste nazioni sono rappresentate dalle rispettive ambasciate presso la Santa Sede che si sono incaricate di promuovere l’evento nei loro paesi.

Proprio alla rappresentazione della natività di Gesù è dedicato un pregiato volume artistico intitolato Il presepe nell’arte (Edizioni Terra Santa) scritto da Rosa Giorgi, storica dell’arte e direttrice del Museo dei cappuccini di Milano. Un viaggio straordinario tra le più celebri e più belle raffigurazioni della grotta di Betlemme. “Il più delle volte, – scrive la studiosa – in tutte le forme artistiche che hanno trattato questo soggetto, il presepe è composto con vivace fantasia perché nessuno degli evangelisti si dilungò in una descrizione precisa utile a tramandare un’immagine sempre uguale a se stessa. In particolare, solo Luca riportò alcuni fatti della nascita a Betlemme, mentre Matteo vi si riferì narrando la visita dei magi”.

“Eppure – annota ancora Giorgi – l’arte cominciò presto a raffigurare la nascita di Cristo, la natività, proprio a partire dal presepe, dalla mangiatoia: inizialmente con raffigurazioni dal carattere simbolico più che narrativo, e poi, nel corso dei secoli, aggiungendo elementi e segni diversi che via via arricchiscono la scena”. Nelle Catacombe di Priscilla, sulla via Salaria a Roma, vi è la più antica raffigurazione della Madonna con Gesù bambino, dipinta da un ignoto artista del III secolo. Il primo presepe scultoreo è quello di Arnolfo di Cambio, sempre nella capitale, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, realizzato nel 1291. Giotto fu, invece, il primo pittore a raffigurare la natività. La si può ammirare nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, ed è databile intorno al 1303-1305.

Qualche anno fa fece molto scalpore ciò che notò Benedetto XVI nel terzo e ultimo volume della sua trilogia su Gesù di Nazaret, dedicato ai Vangeli dell’infanzia, in merito all’assenza del bue e dell’asinello nella grotta di Betlemme. Ratzinger lo pubblicò alla vigilia del suo ultimo Natale da Papa, alla fine del 2012. Benedetto XVI scrisse che “la mangiatoia rimanda ad animali, per i quali essa è il luogo del nutrimento. Nel Vangelo non si parla qui di animali. Ma la meditazione guidata dalla fede, leggendo l’Antico e il Nuovo Testamento collegati tra loro, ha ben presto colmato questa lacuna, rinviando ad Isaia 1,3: ‘Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende’”. Parole che non hanno minimamente scalfito la presenza dei due celebri animali nel presepe.

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