Ugolino Ugolini, patron della Gover, un’azienda di pneumatici, e presidente della Fiorentina dal 1971 al ’77 (fu lui ad acquistare Giancarlo Antognoni), incede solenne e padronale nella sua fabbrica tra gli operai che ossequiosi gli danno la mano, meno uno, don Bruno Borghi, un prete operaio. “E tu perché non ti alzi e non mi dai la mano?”, lo fulmina Ugolini. Il prete ribelle risponde lapidario che lui la mano la porge a chi gliela dà. In breve: non riconosce il padrone, non accetta inchini e ossequi. Conclusione inevitabile: don Borghi, detestato da Ugolini e un po’ anche da un sindacato tiepido che non vede di buon occhio le iniziative del prete operaio, viene licenziato. La magistratura poi però gli dà ragione e lo fa riassumere.

L’episodio è stato raccontato da Beniamino Deidda, magistrato, già procuratore generale della Toscana, autore del libro Bruno Borghi. Una vita senza padroni, con prefazione di Tomaso Montanari, e presentato a San Gimignano nel corso del seminario, “Indifferenti mai. La testimonianza dei preti operai nella Toscana terra di diritti”, organizzato dal Centro internazionale di studi sulla religiosità contemporanea, di cui quella dei preti operai è stata, almeno nella seconda metà del Novecento, un’esperienza che rompe con la Chiesa tradizionale e che nella sua radicalità viene spesso in conflitto con la sinistra riformista. Nel segno appunto di “una vita senza padroni”, come recita il titolo del libro di Deidda.

L’idea di dedicare un seminario ai preti operai, ha spiegato il presidente del Centro, il sociologo Arnaldo Nesti, è nata dalla fioritura nel 2021 di diversi libri dedicati a figure di preti operai, soprattutto in Toscana, terra ricca di sacerdoti in tuta, anche per la presenza, ha spiegato lo storico Pietro Domenico Giovannoni, di presenze progressiste come Giorgio La Pira, il cardinale Elia Dalla Costa e don Luigi Facibeni. Così in terra toscana sbocciano le esperienze di don Beppe Pratesi, don Renzo Fanfani fino a don Sirio Politi, che nel 1956 decise di farsi prete operaio e fondò a Viareggio una piccola comunità con altri due preti, don Beppe Socci e Luigi Sonnenfeld, dedicandosi soprattutto alla lavorazione del ferro. La chiesetta della comunità si trova nella darsena viareggina, tra i cantieri e i pescatori del canale Burlamacca, e oggi ci vive solo don Luigi perché nel frattempo don Sirio e don Beppe sono morti.

L’esperienza dei preti operai nasce in Francia subito dopo la guerra. Tra i più noti il domenicano Jacques Loew, che lavorò come scaricatore di porto a Marsiglia e il prete Michel Favreau, morto in un incidente sul lavoro. Il movimento dei preti operai si estende a molti Paesi europei, compresa l’Italia, dove la prima tonaca ad indossare la tuta è stato don Borghi, compagno di seminario di don Milani e forse l’amico più vicino, che nel 1950 entrò operaio alla Pignone, nonostante i divieti di Pio XII e della Curia fiorentina. Dopo anni di esperienze operaie (divenne attivista della Cgil) e di dissensi ecclesiali, nel 1970 don Borghi abbandonò la tonaca e si sposò. Morirà nel 2006 portandosi dietro, anche negli avversari, la stima per la sua coerenza. “Non amava essere definito un prete operaio. Gli sembrava un privilegio. Si sentiva solo un operaio. La sua è stata la scelta di vivere tra gli ultimi”, ha sottolineato Deidda.

Altra figura di spicco del movimento dei preti operai è stato don Renzo Fanfani (biografia scritta da Paola Sani e edita da Gabrielli editore), nato nel 1935 e morto quattro anni fa, “un gran personaggio, poteva fare il sindaco, il vescovo, gran carisma”, ha ricordato Nesti. Quando nel 2006 il governo Berlusconi prova a cambiare alcuni articoli della Costituzione, don Fanfani inscena una singolare protesta: dal campanile della sua chiesa, parrocchia di Avane, a Empoli, espone quattro striscioni rossi con la scritta “No”. E in giallo: “La Chiesa non può rimanere neutrale di fronte al referendum costituzionale”. A tutti i ragazzi che passavano la cresima consegnava due libri: il Vangelo e la Costituzione. Le due bibbie, religiosa e civile.

E nel 2006 per il centenario della Cgil, don Fanfani confessa, in un ritratto video realizzato da Maria Zipoli e Giuseppe Onorati, l’esigenza di “fare scelte più radicali: dovrei di nuovo buttare il cappello per aria”. Buttare il cappello per aria: il tratto distintivo delle esperienze di questi preti operai. C’è chi sogna di studiare sociologia a Trento con Renato Curcio e si ritrova operaio in un’azienda di scarpe. Chi come il fiorentino don Fabio Masi va a fare il facchino: “Da parroco uno avverte la potenza del ruolo, da facchino deve solo eseguire ordini”. O Beppe Pratesi che un giorno non gli basta fare il prete operaio, ma decide di sposare Lucia Frati, come racconta a Antonio Schina in Con tutto l’amore di cui siamo capaci. La coppia ha oggi 5 figli e lui, Pratesi, 90 anni, si commuove a raccontare, in una San Gimignano fredda e piovosa, i tanti cappelli tirati per aria.

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