Circa 28 milioni di persone in Europa lavorano per le piattaforme digitali, da quelle del food delivery a Uber. Il 90% è inquadrato come autonomo, ma 5,5 milioni avrebbero le caratteristiche per essere considerati a tutti gli effetti dipendenti. Di fronte a queste stime, e alle decine di sentenze che dall’Italia a Francia, Germania e Spagna hanno riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro, la Commissione europea fa la sua mossa recependo l‘invito arrivato a settembre dall’Europarlamento. Mercoledì 8 dicembre l’esecutivo Ue ha approvato come da attese un pacchetto di misure ad hoc, che comprende la proposta di una direttiva mirata ad aumentare le tutele. Anche in considerazione del fatto che quella che viene definita “gig economy” è in continua espansione: tra 2016 e 2020 le piattaforme hanno visto i propri ricavi lievitare di cinque volte, a 20 miliardi di euro, e di qui al 2025 potrebbero arrivare ad impiegare 43 milioni di persone.

Il cuore del documento, che sarà presentato ufficialmente giovedì, riguarda proprio il riconoscimento della subordinazione. E promette di avere un fortissimo impatto soprattutto sul trattamento dei rider, la cui attività è spesso totalmente condizionata da un algoritmo che determina il “punteggio” di affidabilità di ogni lavoratore determinando la possibilità di scegliere i turni preferiti. Se la direttiva passerà, basterà che siano rispettati due criteri in una lista di cinque comprende la supervisione sulle performance attraverso mezzi elettronici, la presenza di restrizioni alla libertà di scegliere quando lavorare e la fissazione del livello di retribuzione perché la piattaforma venga considerata un vero e proprio datore di lavoro. E i suoi collaboratori abbiano dunque diritto a salario minimo (nei Paesi in cui esiste), ferie, malattia, congedi parentali e ogni altra tutela garantita ai dipendenti. Le piattaforme potranno opporsi, ma avranno l’onere di provare che il lavoratore è genuinamente autonomo.

Il secondo pilastro riguarda la trasparenza nell’uso degli algoritmi: dovrà essere assicurato il monitoraggio di un essere umano su ogni decisione riguardante le condizioni di lavoro e i “gig worker” – così come i sindacati e le autorità – avranno il diritto di essere informati sul funzionamento del sistema che assegna i compiti, i compensi e i bonus. Infine, le piattaforme saranno tenute a fornire alle autorità nazionali tutti i dati su quante persone impiegano nel Paese e a quali condizioni.

Impatto potenziale su 4,1 milioni di lavoratori. Lobby al lavoro contro la novità – Le nuove norme, stando alle stime Ue, potrebbero tradursi nella “riqualificazione” come dipendenti di 4,1 milioni di lavoratori. Questo comporterà ovviamente anche un notevole aumento dei contributi versati, stimabile in una cifra che potrebbe arrivare fino a 4 miliardi di euro l’anno per l’intera Unione europea. Per entrare in vigore la proposta dovrà essere approvata da Parlamento e Consiglio Ue, resistendo agli sforzi di lobbying del settore. I primi avvertimenti sono già arrivati: un rappresentante della piattaforma estone di car sharing, trasporto privato e food delivery Bolt ha detto a Reuters che la direttiva “farebbe perdere il lavoro a un driver su due nell’Unione europea”. I singoli Stati dovranno poi recepire la direttiva nella legislazione nazionale. Per ora solo la Spagna ha adottato una legge in base alla quale i rider sono lavoratori dipendenti. Deliveroo ha deciso di lasciare il Paese. Se tutti i Paesi europei agiranno insieme, però, aggirare l’imposizione di maggiori tutele sarà più difficile.

Per Daniela Rondinelli, europarlamentare M5s, “riconoscendo che i rider sono lavoratori subordinati a tutti gli effetti, e non autonomi o pseudo tali, la Commissione rigetta l’idea che in Europa esistono lavoratori di serie A e di serie B. Sono state recepite tutte le ambiziose proposte approvate dal Parlamento europeo a settembre, bisogna tuttavia vigilare che l’assenza a livello europeo di una definizione univoca di lavoratore autonomo e di lavoratore subordinato possa portarci a un’applicazione a macchia di leopardo visto che le normative differiscono sensibilmente da Paese a Paese”.

I buchi della normativa italiana e le sentenze – In Italia il ministro del Lavoro Andrea Orlando si è detto soddisfatto della decisione europea. “Anche nelle piattaforme si possono annidare fenomeni simili al caporalato in agricoltura e non è una condizione accettabile”, ha detto a Rai Radio Uno commentando le anticipazioni. La normativa italiana attualmente ha molte falle. Nel 2019 il decreto per la tutela del lavoro e le crisi aziendali del governo gialloverde ha sancito che i fattorini cococo (sulla base di una delle norme attuative del Jobs Act) hanno diritto a vedersi applicare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, compresa la retribuzione prevista dal contratto collettivo della logistica e trasporto merci. Ma resta esclusa la maggior parte dei rider, inquadrati come lavoratori autonomi: per loro c’è solo il divieto del cottimo più spinto, nel senso che la paga non può dipendere “in misura prevalente” dal numero di consegne effettuate. Sempre più spesso a intervenire è la magistratura: la procura di Milano per esempio ha prescritto a Glovo, Uber Eats, Deliveroo e Just Eat di assumere quasi 60mila persone con le tutele dei subordinati. Un anno fa, poi, il tribunale di Palermo ha per la prima volta imposto a Glovo di assumere un suo rider come dipendente a tempo indeterminato. Ed è di pochi giorni fa la bocciatura da parte del tribunale di Firenze del contratto collettivo sottoscritto da Ugl e Assodelivery: per i giudici è un accordo di comodo, la sigla sindacale non è rappresentativa e risulta troppo “vicina” alle piattaforme.

La giurisprudenza in materia non è comunque univoca. Proprio l’8 dicembre, mentre la Commissione varava il pacchetto, il tribunale del lavoro di Bruxelles ha dato torto al revisore del lavoro belga, all’Ufficio nazionale di previdenza sociale, ai sindacati e ad alcuni ex corrieri, stabilendo che il rapporto tra i rider e Deliveroo non è di lavoro dipendente. Il giudice non ha trovato “alcun elemento rivelatore dell’esercizio concreto del potere gerarchico” da parte della piattaforma.

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