Tutti più o meno ricordano il sorriso sotto la mascherina e gli occhi scuri. Claudia Alivernini, 30 anni, infermiera dello Spallanzani di Roma, fu tra i primi vaccinati d’Italia il 27 dicembre dell’anno scorso. Quando i composti anti Covid arrivavano sotto scorta perché così preziosi da temere anche assalti da parte dei rapinatori. E invece c’è chi ancora oggi rifiuta il vaccino che protegge dall’infezione di Sars Cov 2.

In una intervista a La Repubblica racconta come adesso coordini i camici bianchi delle Uscar – le unità mobili della Regione Lazio – portando i vaccini a chi non può muoversi e ne ha bisogno. Ai no vax, che in questi giorni riempiono gli ospedali, la professionista dice: “Vaccinatevi, almeno per rispetto di tutti i morti che ci sono stati quando il vaccino non c’era. Trovo assurdo vedere ancora persone che lo rifiutano. Credo che chi manifesta in piazza, chi si affida ai social invece che alla scienza non ha mai conosciuto la paura vera, quella che abbiamo provato noi in corsia”. Il personale sanitario è stato quello più esposto al coronavirus, in trincea per mesi prima che arrivasse lo scudo offerto dai vaccini.

“Sia a livello collettivo che personale. Il vero cambiamento, per me, è stato il giorno che lo hanno fatto i miei genitori. Per tutelarli avevo annullato ogni contatto fisico con loro. Tornare ad abbracciarli è stato commovente. E dopo 14 giorni dalla la seconda dose, ho regalato loro un viaggio. È stato come la fine dell’incubo”. Il periodo più complicato dei mesi di trincea è stato quello di vedere “persone dell’età dei miei genitori, e al turno dopo non vederle più, perché trasferiti in terapia intensiva, o peggio. È qualcosa che ha toccato il carattere di noi operatori sanitari. E oggi scontrarsi con la mentalità di pazienti che persino ricoverati non cambiano idea sul vaccino è molto frustrante“.

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