Titoli fiume, comicità agrodolce, Fellini, Giannini, Melato, profilo greco, occhiali con montatura bianca e odore di basilico. Lina Wertmuller dice addio al mondo che ha osservato rapito i suoi film con quel sorriso solare e folleggiante a 93 anni. Prima donna in assoluto ad essere candidata agli Oscar come miglior regista nel 1977 per Pasqualino Settebellezze (il film è del 1995, fa lo stesso) con annesso, ricambiato amore di una certa Hollywood lato Academy, che le regalerà un Oscar alla carriera nel 2020 donato solo ai grandi come Chaplin, Disney e Morricone, la Wertmuller che conosce la popolarità assoluta almeno in Italia, corsia preferenziale del box office è quella del 1974/75 – l’anno dell’imprendibile Fantozzi – con Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Febbrile e adrenalinica commedia, contrasti socio-politici esibiti come scalpi, scambio di ruoli e di classe padrona/schiavo tra gli iconici Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, in quell’angolo di Sardegna dove la ricca signora anticomunista settentrionale è costretta a condividere l’isola deserta con il mozzo siciliano comunista.
Quinto incasso dell’anno davanti a L’inferno di Cristallo e Profondo Rosso. Fino a quell’istante la Wertmuller, aiuto regista in 8e1/2 di Fellini (1963) e da lì lanciata nell’empireo maschio del cinema italiano (ci viene in mente all’epoca giusto il nome di Liliana Cavani), era stata instradata come tutti gli enfant prodige dell’industria italiana tra il pop e l’art house verso lidi festivalieri che però non l’accolsero proprio a braccia aperte. Il film d’esordio, I Basilischi (1963), bianco e nero lucano pugliese, giovani accidiosi provinciali che non riescono a spiccare il volo oltre il paese, con uno straordinario Stefano Satta Flores, è la prova di classe, introspettiva ma comunque mai tragica, che le fa vincere un premio a Locarno. Poi si naviga a vista in pieni sessanta. Regista per un paio di celebri musicarelli con Rita Pavone (Rita la zanzara e Non stuzzicare la zanzara, 1966-1967), Wertmuller amplia pian piano la sua tecnica, inaugura il sodalizio epocale con quel Giancarlo Giannini con cui girerà otto film, costruisce un dettato robusto e vigoroso nella scrittura, finendo addirittura al Festival di Cannes in Concorso con Mimì Metallurgico ferito nell’onore (1972). Al centro di un film comico ad incastro, innovativo e mai banale, politicamente a tratti grottesco e a tratti tragicamente realista, c’è il manovale siculo Merdocheo che nell’ambire ad un posto di lavoro in fabbrica nel nord Italia mescola l’altalenante desiderio antisistema dell’essere comunista e antimafioso con tutta una dilatata e dilaniata epopea familiare, tra figli, amanti e tradimenti. Il cinema della Wertmuller sovraccarico di sottotesti, stressato di continuo nello scontro anche fisico femmina/maschio, intriso di sarcastico sguardo sul sociale, fulminante nei personaggi leggermente esagitati, saettanti, con gli occhi fuori dalle orbite, è già tutto presente qui.
Non resta che svilupparne versioni sempre più istrioniche e ironiche, ma più storico-politiche (Film d’amore e d’anarchia o Pasqualino Settebellezze), ed altre più leggere e brillanti come Travolti… Anzi, Wertmuller inaugura un vero e proprio filone proprio sul finire dei settanta con titoli carichi di subordinate che scimmiottano titoli di giornali o intere righe esplicative di un soggetto. La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978) e Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici (1978- in originale titolo più lungo al mondo – Un fatto di sangue nel comune di Siculiana fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici. Amore-Morte-Shimmy. Lugano belle. Tarantelle. Tarallucci e vino) continuano sulla falsariga del binomio incontro/scontro uomo donna con idee politiche differenti e ricaricano all’infinito questo anomalo e schizoide approccio divertito della Wertmuller (spesso in solitaria anche in sede di scrittura dei suoi film) sul contemporaneo.
Con un atro tiolo fiume come Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante di strada (1983) tenta pure la strada del grottesco paranoico modello Elio Petri dove un ministro rimane bloccato dentro la sua avveniristica auto blindata. Il cast è stellare con Tognazzi, Montagnani, Moschin, Jannacci, Piera degli Esposti e pure una Golino all’esordio. Altra variante della matrice Wertmuller è Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e profumo di basilico (1986) dove ancora una Melato ricca borghese questa volta gestisce il rapporto burrascoso con un sottoposto più fisico come Michele Placido. Nel frattempo Wertmuller ha già valicato il bordo della commedia più semplificata e tradizionale. Dirige Montesano e niente meno che Veronica Lario in Sotto sotto strapazzato da anomala passione, poi con l’arrivo degli anni novanta comincia una strana nuova carriera più patinata e formale, piuttosto lontana dal cuore pulsante della sua straordinaria creatività. In una notte di chiaro di luna (1991) dirige Rutger Hauer, Nastassja Kinski e Peter O’Toole in un dramma a sfondo aids che è meglio dimenticare; va di pilota automatica adattando il romanzo Io speriamo che me la cavo dirigendo Paolo Villaggio nei panni di un maestro elementare come l’autore del libro Marcello D’Orta. Poi ancora altre trasposizioni come quella dal romanzo Ninfa Plebea e il tentativo di far rinascere l’epopea dell’operaio meridionale di sinistra con Metalmeccanico e parrucchiera… ( altamente dimenticabile nelle performance di Tullio Solenghi, Veronica Pivetti e Gene Gnocchi). Ricco il sodalizio con il compositore Piero Piccioni (anche se Wertmuller ha lavorato con altri grandissimi come Nino Rota e Paolo Conte) e sincero quello con il marito, scenografo e costumista di molti suoi film, Enrico Job.