I giornali di questi giorni danno molto risalto alla proclamazione dello sciopero generale da parte di Cgil e Uil, previsto il 16 dicembre, con l’astensione, a mio avviso, del tutto incomprensibile, della Cisl. In realtà questo sciopero ha senso se esprime chiaramente un’opposizione, costituzionalmente legittima, alla politica del governo, il quale sta agendo per impoverire il popolo italiano e i lavoratori e arricchire le multinazionali e la finanza.

Questo obiettivo sicuramente non è stato capito dalla Cisl, che forse ha gli occhi bendati dalla propaganda incessante del neoliberismo.

Non so fino a qual punto esso sia chiaro anche nelle menti degli organizzatori dello sciopero, i quali tuttavia hanno il merito di aver posto in evidenza gli effetti negativi del nuovo sistema economico predatorio neoliberista. Ciò si evince dalle indicazioni delle cause che hanno spinto allo sciopero generale, le quali sono individuate in un lungo elenco che boccia la manovra del governo sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, ponendo in evidenza in modo particolare la necessità di una più efficace redistribuzione della ricchezza, per ridurre le diseguaglianze e per generare uno sviluppo equilibrato e strutturale e un’occupazione stabile.

A mio avviso è proprio sulle cause che bisogna indagare, e a tal proposito occorre mettere in evidenza che il disastro economico deriva dall’affermazione del pensiero unico dominante del neoliberismo, il quale, eliminando l’intervento dello Stato dall’economia, impone di mettere sul mercato anche i beni che sono nella proprietà pubblica demaniale del popolo e quindi inalienabili, inusucapibili e inespropriabili.

Questi beni sono essenzialmente elencati dall’articolo 43 Costituzione secondo il quale i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio e le industrie strategiche devono essere in mano pubblica o di comunità di lavoratori e di utenti, e quindi non possono essere posti sul mercato. Non può sfuggire peraltro che si tratta di grandi fonti di produzione di lavoro e di ricchezza che la Costituzione riserva al mercato interno italiano, proprio per sostenere l’esistenza stessa dello Stato-Comunità, e che il governo Draghi, improvvidamente e in violazione palese del citato articolo 43 Costituzione, ha posto sul mercato.

Ciò risulta evidente dal disegno di legge governativo sulla concorrenza che ha l’ardire di porre sul mercato il servizio di taxi, il servizio di spiaggia, ai quali sarebbe seguito, se non fosse stato escluso da una norma apposita, anche il servizio dei venditori ambulanti.

E si deve altresì ricordare che il governo nulla ha fatto a proposito dell’incredibile situazione dell‘Ilva, dove siamo arrivati all’assurdo di versare 400 milioni, ai quali si aggiungeranno presto altri 600 milioni di euro, per diventare nei fatti soci di Arcelor-Mittal, che è affittuaria dell’acciaieria, con l’assurdità di pagare milioni per diventare, da locatore, socio del proprio locatario!

Nulla ha fatto per Tim, per la quale quanto meno avrebbe dovuto usare il golden power, mentre è rimasto spettatore neutrale nei confronti delle vicende riguardanti la cessione a fondi di investimento internazionali. Nulla ha fatto per la Whirlpool, la Gkn e tante altre vertenze di questo tipo, le cui chiusure o delocalizzazioni gettano sul lastrico i lavoratori e le loro famiglie.

Insomma la soluzione sta nel seguire la Costituzione e nell’evitare nel modo più assoluto di porre sul mercato beni e servizi che fanno parte del demanio costituzionale e che sono inalienabili, inusucapibili e inespropriabili. Perciò, in modo più forte che mai, invito tutti a prodigarsi per l’attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42, 43 e 118 della nostra Costituzione repubblicana e democratica.

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