di Ilaria Muggianu Scano
Alfieri per la scuola ma non grazie alla scuola: questa l’antifrastica realtà dei 28 giovani studenti recentemente insigniti del titolo di “alfiere della Repubblica” dal Presidente, Sergio Mattarella. Sono trenta gli attestati d’onore (due ad azioni filantropiche collettive), ma probabilmente non è del tutto corretto significare la “meglio gioventù” con la vaga definizione, a largo spettro, di “studenti”. “Ai giovani che si sono distinti per l’uso consapevole e virtuoso degli strumenti tecnologici e dei social network anche durante la difficile gestione della socialità determinata dalla pandemia”, proclama la laurea d’esemplarità prevista dalla Repubblica italiana.
La stampa si è recentemente sdilinquita nel descrivere i giovani alfieri come destinatari del riconoscimento in relazione al mondo della scuola, parlando di 28 giovani studenti. Nanni Moretti sentenziava con il celebre motto di buon senso: “Le parole sono importanti” che sembra attagliarsi a riflessioni cogenti, in buona compagnia di Nietzsche, che irritato da certo e diffuso fervore ingenuo, si chiede: “Quanta verità può sopportare un uomo?”. Probabilmente poca, si sarebbe risposto, se si concede anche solo un pertugio esistentivo alla, pur soberrima, illusione e ingenuità di chi lascia lingueggiare la fiamma dell’ottimismo scolastico. Sarebbe trascinare nel ridicolo la liturgia dell’integralismo didattico, che di fatto non ha creato cambiamenti permanenti di segno positivo nel periodo in cui gli studenti più avevano bisogno di innovazione scolastica.
Le esperienze più riuscite, come più che spesso accade, sono state in mano alla buona volontà di pochi e creativi docenti che, di fatto, hanno, individualmente, creato il cambiamento a partire da un nuovo umanesimo, avulso, però, dall’universo Scuola, senza tuttavia sottrarsi all’inedita responsabilità educativa, ispirata al servizio pubblico. Ciò che viene in mente analizzando la motivazione al conferimento del titolo onorifico ai diversi giovani è che un simile suggello ai propri mirabili impegni sia arrivato nonostante un intenso impegno scolastico, non grazie alla scuola.
Un esempio tra gli altri – ma eccellentemente paradigmatico ed evocativo del nostro inflessibile postulato d’aletheia, come vorrebbero i greci antichi – è il caso del futuro medico chirurgo ambientalista Alessio Cozzolino, la cui motivazione al prestigioso riconoscimento decreta: “Per l’impegno e la competenza con cui affronta i grandi temi ambientali e il loro riflesso sulla coesione e la giustizia sociale. La sua attività di giornalista è diventata sempre più intensa negli anni del liceo, e ora è riconosciuta e apprezzata a livello di importante testate nazionali”.
L’attitudine allo studio disciplinato, l’automotivazione, quando sarebbe stato più semplice crogiolarsi nell’autosabottaggio attendista di migliaia di studenti, durante la surreale e straniante didattica a distanza, uno spiccato fiuto per la ricerca scientifica e un’irriducibile capacità e professionalità comunicativa, vissuta come imperativo morale e l’indiscusso talento scrittorio fatto di parole che ad un certo punto sembrano ribellarsi alla stretta della carta e confluiscono in direzione dell’organizzazione di eventi aggregativi in cui porre la propria capacità scientifica ed intellettuale a disposizione di coetanei, attraverso lezioni d’approfondimento.
Nel sito del Quirinale, Cozzolino è descritto con encomiastiche riflessioni su un percorso di formazione autopoietico, di stampo umanista, che si snoda a partire dal background scientifico della propria famiglia. Simile il profilo dei colleghi d’alloro. Filoneismo, gratuità e filantropia, per concludere il quadro non certo pateticamente oleografico dei 28 giovani, un soteriologico distillato di realtà. Una realtà in cui la scuola non è presente. Dove sei scuola? Quo vadis?