Ha impiegato per oltre un mese “decine di lavoratori di varie etnie” reclutati da un caporale, in violazione dei contratti collettivi e delle norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. Lo ha fatto “approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie”, pur essendo “consapevole delle modalità della condotta di reclutamento e sfruttamento”, nella misura in cui si rivolge ad un soggetto “di cui non può non conoscersi il modus operandi“. Lo chiamava, comunicava la propria necessità di uomini e in seguito versava le retribuzioni a lui invece che ai singoli lavoratori. Dimostrando, insieme agli altri indagati, “un’elevata “professionalità” nell’organizzare l’illecito sfruttamento della manodopera”. Sono alcuni degli elementi contenuti nell’ordinanza con cui il gip di Foggia Margherita Grippo ha sottoposto Rosalba Livrerio Bisceglia – moglie del prefetto Michele Di Bari, capo del Dipartimento immigrazione del Viminaleall’obbligo di firma due volte alla settimana e all’obbligo di dimora a Foggia, suo comune di residenza. Bisceglia è accusata di caporalato per aver utilizzato nella propria azienda agricola forza lavoro procurata in modo illecito da un intermediario, il 33enne gambiano Bakary Saidy, per cui il giudice ha ordinato la custodia cautelare in carcere.

In particolare, si legge nel capo d’accusa, “Saidy portava sui campi, dopo averli reclutati, i braccianti, in seguito alla richiesta di manodopera avanzata da Livrerio Bisceglia, che comunicava telefonicamente il numero di lavoratori necessari”. Rosalba e Matteo Bisceglia (quest’ultimo è presumibilmente un parente, ndr) si limitavano a “ordinare” un certo numero di operai che la moglie del prefetto assumeva senza conoscere. La paga? 35 euro per una giornata di sei ore, ovvero circa 5,80 euro l’ora. I lavoratori, si legge nel provvedimento, “venivano controllati e gestiti dal Bisceglia Matteo (presumibilmente un parente di Rosalba, ndr) e assunti tramite documenti forniti dal Saidy, che riceveva il compenso da Livrerio Bisceglia e distribuiva successivamente e che si faceva pagare l’importo di € 5 da ogni bracciante per l’attività di intermediazione”. “Mi puoi portare sei persone per martedì?”, chiede in un’intercettazione Matteo a Saidy. Il gambiano fornisce otto documenti, “così non sbagliamo”, ma la sera stessa riceve la chiamata dalla moglie del prefetto che si lamenta (“Senti quattro di voi non sono regolari… non ci sono permessi…) e precisa che solo i lavoratori in regola avrebbero potuto presentarsi al lavoro.

Nonostante ciò, nell’azienda agricola Bisceglia lavorava anche manodopera irregolare. Tanto che il 15 settembre 2020, quando ai cancelli si presentano i carabinieri dell’Ispettorato del lavoro, “i braccianti presenti si allarmavano e quattro di loro, di etnia africana, si davano alla fuga per evitare il controllo facendo perdere le loro tracce nei campi limitrofi”. Dalle intercettazioni successive risulta che “il caporale, sapendo che alcuni dei braccianti inviati al lavoro da Bisceglia non erano in regola“, chiedeva a uno di loro se l’Ispettorato li avesse trovati lì: e “l’interlocutore rispondeva che erano rimasti sul fondo solo i braccianti con i documenti e che invece “noi, senza documenti, siamo andati via”, indirettamente confermando non solo che alcuni dei braccianti che si erano recati a lavoro non erano regolarmente assunti, ma anche che gli stessi si erano dati alla fuga proprio per sottrarsi al controllo”. A un altro degli operai Bakary “chiedeva se qualcuno fosse stato preso dagli Ispettori e consigliava come comportarsi per eludere i controlli, suggerendogli di fermarsi se avesse raggiunto un luogo in cui potersi nascondere”.

Dieci giorni dopo, il 25 settembre, Saidy chiama Matteo Bisceglia dopo aver saputo che l’imprenditore aveva chiesto ai braccianti quanto venissero pagati. “Alle domande del caporale, il Bisceglia tergiversava, dicendo che aveva in realtà chiesto per conto di un amico e che non gli interessava nulla in merito (“Nooo… io ho chiesto così… per chiedergli… che cazzo me ne frega a me di loro… era giusto per chiedere così…”)”. E “Saidy, preoccupato del fatto che i braccianti avrebbero potuto pensare che non pagasse loro quanto effettivamente dovuto (“perché… sennò loro si pensano qualcosa… capito?”), concludeva la telefonata dicendo che pagava regolarmente i propri uomini. I due Bisceglia, quindi – conclude l’ordinanza – “erano perfettamente coscienti delle modalità di reclutamento e di impiego del lavoro da parte del Saidy, il quale, dal canto suo, ammetteva di riceve materialmente i soldi dagli imprenditori e di cederli successivamente ai braccianti da lui reclutati”.

Il 28 settembre Saidy richiama Matteo il quale, appena aperta la telefonata, affermava, “sono quarantotto giornate” riferendosi a quelle svolte complessivamente dai lavoratori. Bisceglia, annotano i Carabinieri, “chiede al caporale un messaggio nel quale questi deve riferirgli l’orario e le giornate svolte dai braccianti, cosa ambigua questa poiché l’azienda dovrebbe già conoscere gli orari e le giornate prestate dai propri dipendenti”. Inoltre, “allorquando il Saidy chiedeva circa il metodo di pagamento, veniva interrotto dall’imprenditore, il quale suggeriva di parlare di certe cose di persona, evitando l’utilizzo del telefono”. Il pagamento avveniva poi il successivo 1° ottobre: “Matteo, infatti, chiamava Saidy per dargli conferma degli avvenuti pagamenti, per via telematica, da parte di Livrerio Bisceglia Rosalba, dall’ammontare di euro 395 spettanti a soli cinque braccianti“. E ammetteva candidamente che, “a causa dei controlli dell’ispettorato, era stato costretto a versare più soldi rispetto a quelli pattuiti”, suggerendo al caporale “di pagare il sesto bracciante con i soldi che aveva ricevuto in più rispetto a quelli che gli spettavano”.

In conclusione, scrive il gip, la moglie del prefetto Di Bari “risultava consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento in quanto si confrontava direttamente con il caporale, del quale aveva il numero di telefono; si preoccupava di formalizzare le buste paga, e adottava tutta una serie di ulteriori accorgimenti che evidentemente non avrebbe adottato se non fosse stato per gli avvenuti controlli; chiamava il Saidy, e non i singoli braccianti, per dirgli come e perché era stata costretta a pagare con modalità tracciabili e sempre a costui comunicava, per il tramite del Bisceglia Matteo, che l’importo della retribuzione sarebbe stato superiore a quello spettante, ma che Saidy avrebbe potuto usare la differenza per pagare un sesto operaio che, evidentemente, avrebbe lavorato in maniera irregolare. Quanto accertato durante l’ispezione, le conversazioni intercettate sulla gestione dei lavoratori, sull’ammontare e sulle modalità di pagamento della retribuzione, appaiono indizi univoci e gravi del ruolo attivo dei Bisceglia nella condotta illecita“.

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