La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso di non bloccare la legge del Texas che dà una pesante stretta all’aborto: lo vieta infatti dopo sole sei settimane di gravidanza, quando una donna – di solito – non sa neanche di essere incinta o lo scopre poco dopo. È in vigore da settembre e prevede anche la denuncia dei medici, delle cliniche e dei consultori che violano la norma, nonché pesanti sanzioni pecuniarie. Il pronunciamento della Corte Suprema lascia intravedere quale sarà la presa di posizione a giugno, sempre in merito all’aborto: i giudici della corte sono chiamati a esprimersi sulla legge del Mississippi che vieta l’interruzione della gravidanza dopo 15 settimane, anche in caso di stupro o incesto. Per quanto concerne il Texas, alle cliniche che scelgono di praticare ugualmente l’interruzione di gravidanza è concesso di fare ricorso legale e di delegare la la decisione ai giudici federali.
Sullo sfondo, a meno di un anno dalle elezioni politiche di metà mandato, ancora una volta il destino della storica sentenza ‘Roe v.Wade’ del 1973 con cui l’Alta Corte legalizzò l’aborto in America, stabilendo che gli stati Usa non possono vietarlo prima di 23-24 settimane di gravidanza, vale a dire in uno stadio in cui il feto non è ancora in grado di sopravvivere al di fuori del grembo materno. Una conquista per i diritti delle donne americane che aprì la strada anche a milioni e milioni di altre donne nel mondo, e che ora rischia di essere ridimensionata con nuove limitazioni.
La retromarcia è verosimile perché la Corte Suprema, ora, è a maggioranza conservatrice dopo che Donald Trump ha eletto tre giudici di questo stampo. Il presidente Joe Biden da mesi definisce l’ondata di leggi restrittive sull’aborto come “un attacco alle donne”, attirandosi l’ira dei vescovi americani. Mentre gran parte dei democratici, a partire dalla sinistra del partito, è pronta a dare battaglia nei prossimi mesi. Intanto, la decisione di non fermare la legge antiabortista del Texas ma di permettere i ricorsi legali rischia di far aumentare il caos. Se da una parte accentuerà, per chi se lo può permettere, la fuga delle donne texane che vogliono interrompere la gravidanza negli stati Usa dove questo è permesso (un esempio è la vicina California), dall’altra rischia di innescare un’ondata di cause ed azioni legali con strascichi che potrebbero portarsi avanti per anni.