E’ morto Enrico Pieri, uno degli ultimi superstiti dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, nel quale il 12 agosto 1944 morirono 560 persone, di cui 130 bambini. Pieri aveva 87 anni ed era malato. Era presidente dell’Associazione Martiri Sant’Anna Stazzema, ha dedicato tutta la vita a far conoscere la strage ed ha perfino donato all’associazione la sua casa d’infanzia, la stessa in cui fu sterminata la sua famiglia (i genitori, due sorelle, nonni, zii, cugini), luogo dove favorire incontri e dare spazio alle delegazioni di studenti e ricercatori che si recano a Sant’Anna per informarsi e approfondire la conoscenza storica di quegli eventi. A ilfattoquotidiano.it nel 2014 affidò questo pensiero: “I nazisti sterminarono la mia famiglia. Ma perdono il popolo tedesco”.
Abitava a Pietrasanta, in provincia di Lucca, dove era tornato, pensionato, dopo una vita passata a lavorare in Svizzera. Da quando era rientrato in Versilia, aveva ripreso in mano il suo passato, diventando presto uno dei protagonisti della memoria di Sant’Anna. Migliaia sono gli studenti che ha incontrato, nel Museo della Resistenza istituito al posto della vecchia scuola santannina, o in giro per l’Italia. Giovanissimo, aveva sposato Fiorenza, conquistata con una dedica affidata alle parole di una hit dell’epoca e insieme avevano avuto un figlio, Massimo, al quale Pieri aveva imposto la scelta della lingua tedesca, al posto del francese, a scuola, perché il futuro era necessariamente oltre i nazionalismi, nella pace, nell’Unione europea. Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani lo ricorda così: “Un giorno triste per la Toscana. Si è spento Enrico Pieri, superstite dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. È stato un testimone di libertà ispirando tantissimi giovani che negli anni hanno ascoltato la sua storia – dice – Se ne va un amico, se ne va un pezzo di memoria della nostra regione che dobbiamo sempre tenere viva”.
Aveva appena 10 anni Enrico, il 12 agosto del 1944, quando, guidate da fascisti locali, tre colonne di SS accerchiarono il paesino di Sant’Anna di Stazzema. Lui abitava ai Franchi, una delle tante località in cui è dislocato, come una costellazione sui monti versiliesi, il paesino che deve il nome alla santa protettrice delle madri e delle partorienti. Stava facendo colazione con la mamma Irma, incinta di 4 mesi, le sorelline Luciana e Alice, il papà Natale, la nonna Doralice, lo zio Galliano, quando le Schutzstaffel della 16ma divisione Reichsfűhrer fecero irruzione e, radunati anche i vicini, iniziarono a usare le mitragliatrici. Quella mattina i santannini si erano svegliati con il passaparola: i tedeschi stavano salendo, ma cosa volessero, non era chiaro. La maggior parte pensò che salissero per rastrellare gli uomini per portarli nei campi di lavoro in Germania, e così furono proprio loro, i padri e i giovani maschi, a nascondersi nei boschi in attesa che passassero le colonne. A casa di Enrico non andò così. Il giorno prima avevano ammazzato un mucca, che era appesa in casa, e quella mattina l’avrebbero macellata e divisa tra le varie famiglie. Ma a quei tempi era proibito possedere carne, perché andava tutta consegnata agli occupanti. Natale Pieri decise quindi di rimanere a casa per spiegarsi con i tedeschi ed evitare che se la prendessero con sua moglie o i suoceri. Non immaginava che il pavimento si sarebbe tinto del loro sangue, quella mattina.
Quando i tedeschi iniziarono a sparare, Enrico fu trascinato nel sottoscala da una delle due figlie dei vicini, Grazia Pierotti, 14 anni, e da lì assistette ammutolito alla strage della sua famiglia. Graziella, sorellina di Grazia, si salvò buttandosi tra i cadaveri e fingendosi morta. Enrico resistette in silenzio anche quando i nazisti dettero fuoco alla casa buttando la paglia del fienile sopra i corpi della sua famiglia. Ma poi, quando i soldati se ne furono andati, Enrico e Graziella corsero a nascondersi in un campo di fagioli lì vicino, dove restarono in silenzio per ore, senza piangere, fino a che Enrico non fece ritorno alla sua casa per cercare di spegnere, in qualche modo, il fuoco. Non ci riuscì. E così vagò, sporco di sangue, e ancora privo di lacrime, nello sgomento tombale di un paese fatto mattatoio, con l’aria irrespirabile di 560 corpi dati alle fiamme, i più nella piazza di fronte alla Chiesa. Proprio lì, fino alla sera prima i bambini avevano giocato in piazza, tutti insieme, i santannini con i figli degli sfollati, che da varie parti d’Italia, in fuga dalle città sotto bombardamento, si erano rifugiati a Sant’Anna trovando ospitalità in cambio di un po’ di zucchero o, più spesso, di niente. Enrico vagò così, fino a che non incontrò qualcuno che gli dette del latte. Dopo quel giorno, Enrico non incontrò mai più, né seppe che fine aveva fatto, Graziella Pierotti, la ragazzina che lo aveva salvato, o meglio, lo aveva reso per sempre un superstite.
Già, perché la vita di un bimbo sopravvissuto a 10 anni alla sua famiglia per mano dei nazisti, subisce una frattura irrimediabile. E’ morto a 87 anni, ma aspettava questo momento dal 1944. Da anni aveva fatto preparare la croce con il suo nome accanto a quelle della sua famiglia, sotto le fronde degli alberi radicati a due passi dalla casa ancora oggi annerita dal fumo, che lui, d’accordo col figlio, voleva donare al Comune di Stazzema per farne un Ostello della Pace, un progetto ancora arenato nella burocrazia e nella mancanza di fondi. Era lì, sotto quelle croci, che furono seppelliti in un primo momento i parenti di Enrico. Poi, i loro resti furono portati, come quelli di tutti gli altri, nell’Ossario monumentale, costruito in cima a una rupe che domina la costa versiliese, sulla quale svetta la bandiera dell’Unione Europea e dalla quale si vede il mare fino alla linea dell’orizzonte.
Fino a pochi mesi fa, finché la salute glielo ha consentito, Enrico Pieri ha tagliato l’erba col decespugliatore all’orto coltivato personalmente sui gradoni in collina, quell’orto che raggiungeva in Ape, la stessa con cui salì a Sant’Anna di Stazzema, nel giugno del 2015, insieme al nipote di uno dei capi delle SS che ordinarono la strage, in un incontro organizzato proprio dalla nostra testata. Dal suo orto ricavava anche un olio che consegnava solo alle persone speciali. “Per te una bottiglia d’olio c’è sempre” era il suo modo per dire a qualcuno che gli voleva bene. E quando ruzzolava giù per i gradoni del campo, evenienza non rara, lo raccontava sorridendo agli amici e cambiando subito argomento, ma non lo confessava mai alla Fiorenza, quella moglie forte che, tra pazienza e preoccupazione, lo ha amato e assistito per una vita.
Sul podio dei discorsi di Enrico c’erano sempre i giovani, l’Europa, intesa come Unione Europea, e Sant’Anna. Ma ad occupare più spazio nei suoi silenzi, probabilmente, c’era la più vasta assenza, quella delle “coccole della mamma“, così le definiva, quelle che, diceva, a lui “sono mancate”. E in questo concetto così semplice e conciso lasciava intravedere l’abisso, lui, che non si è mai spinto nel racconto del 12 agosto oltre i binari di frasi stabilite per raccontare migliaia di volte quello che è successo ma mai quello che ha provato.