di Carblogger
Un due tre stella. Il ceo del gruppo Volkswagen Herbert Diess con un ultimo tuffo ce l’ha fatta a salvare la poltrona. Lo hanno spinto oltre la linea i suoi azionisti, i Porsche e i Piech, famiglie d’impronta bismarckiana che mai avrebbero potuto sopportare di essere presi a schiaffi dai sindacalisti di Ig Metall, che avevano chiesto la testa del loro manager. Questi ci avevano già provato l’anno scorso in questo periodo, ma senza farcela, consigliandomi comunque di scrivere qui su Carblogger il seguente titolo: Il caso Diess non è chiuso. Né lo si poteva cacciare nel giorno del nuovo governo post Merkel a guida Spd (Olaf Scholz ha per altro la stessa età di Diess, 63 anni), con il Land della Bassa Sassonia primo azionista Volkswagen con il 20,3% (a guida Spd di Stephan Weil, per coincidenza 63 anni).
Ma è chiaro che a Wolfsburg sono in corso giochi pericolosi. Come nel coreano Squid game, il gioco del calamaro: sì, un due tre stella, ci si può muovere verso il traguardo soltanto quando chi comanda il gioco (una bambola in questo caso) pronuncia le quattro parole senza guardare. Ma appena si gira, se vi becca non di sale siete eliminati. Il campo è questo: Diess resta al suo posto, il colosso industriale alle prese con una trasformazione epocale accelera la sua corsa, i giochi continuano.
Riassunto? Uno, è il luglio del 2015 e il bavarese di Monaco Diess sbarca nel gruppo lasciando Bmw e una strada al cielo sbarrata. Due mesi dopo scoppia il dieselgate, che divora miliardi in danni e top manager che non potevano non sapere. Diess non ha fatto in tempo a sapere per motivi temporali e dunque sale fino a diventare ceo del gruppo nell’aprile del 2018.
Due, il top manager sterza tutto sull’elettrificazione, d’intesa con il sistema Germania, gli azionisti, il sindacato che siede nel consiglio di sorveglianza insieme ai Porsche e ai Piech in nome della cogestione. E’ un viaggio di sola andata, con la punta del compasso piantata non in Europa ma in Cina, dove s’investe più che sul Vecchio continente perché è da lì che dovrebbero arrivare i maggiori ritorni. Del resto, quando si tratta di spazio vitale i tedeschi s’allargano sempre.
Tre, per settimane è stato scontro frontale fra Diess e i sindacati sul futuro del lavoro ai tempi dell’auto elettrica, contestata anche la sua gestione della crisi dei chip. Ma era scritto. Un anno fa, telefonai a un mio amico in Germania molto addentro a questioni industriali e mi disse: guarda che l’antagonista di Diess, il capo del potente consiglio di fabbrica di Volkswagen Bernd Osterloh, andrà sì via dopo 15 anni in nome di un compromesso per Diess, ma imporrà la sua vice Daniela Cavallo, tostissima. E italiana, come la moglie di Osterloh e i suoi due figli con doppia cittadinanza. Tutto confermato (penso solo che ce la sogniamo una lobby tricolore così forte a Bruxelles…).
Stella, Diess resta ceo, è il 9 dicembre. Il suo contratto è già stato prolungato l’estate scorsa dal 2023 fino alla pensione a 67 anni, ottobre 2025. Sempre che non scatti una quota cento alla tedesca, per lui sembra tuttavia iniziare una nuova partita: dopo due spallate così forti in pubblico nel giro di 12 mesi, a Diess viene dato il controllo diretto della divisione software ma gli vengono sottratti nuovamente altri poteri. Ha vinto da accerchiato. Il tempo e i suoi azionisti diranno quale futuro.
Nel frattempo nelle multinazionali a bordo campo ci si scalda sempre e non alzerei gli occhi da Ralf Brandstätter. Già boss del marchio Volkswagen – sfilato a Diess nel luglio del 2020 – proprio nel giorno della conferma del ceo è stato cooptato nel board per guidare la nuova divisione chiamata “Volkswagen Passenger Cars” (di peso, perché riguarda tutte le auto di volume dei marchi del gruppo) e dall’1 agosto sarà a capo del gruppo in Cina (delega fin qui di Diess), dove fa perno la punta del compasso del nuovo impero tedesco.
Brandstätter ha dieci anni anni meno di Diess, e soprattutto è nato in Bassa Sassonia a Braunschweig, e lì è cresciuto tutta la vita dentro il gruppo. Uno sexy anche per la gente dura di Ig Metall. Un tempo si diceva: moglie e buoi dei paesi tuoi. Oggi va di moda dire glocal. Domani si vedrà.
Ps. Ho visto la prima puntata della serie coreana Squid game per provare a capire qualcosa del fenomeno e perché da bambino mi è capitato di giocarci. Non ricordavo però che fosse così pericoloso. Non so come finisce Squid game, ma non vedrò le altre otto puntate, più intrigante seguire la serie di Wolfsburg. Eins zwei drei sterne.