Da due anni i giornalisti libanesi sono sempre più sotto attacco da parte di attori statali e non statali. Secondo SKeyes (il Centro Samir Kassir Eyes per la libertà di stampa e di cultura), dall’ottobre 2019 sono stati registrati oltre 100 casi. L’ultimo caso è quello di Radwan Murtada, del quotidiano Al-Akhbar, che il 26 novembre è stato condannato a 13 mesi di carcere per offesa alle forze armate.
Ma la storia che voglio raccontarvi questa settimana riguarda Nada Homsi, una freelance statunitense che lavora per varie testate arabe e internazionali. È stata arrestata il 16 novembre ed è tuttora in stato di detenzione. Della sua vicenda si stanno interessando Human Rigths Watch e Amnesty International.
Secondo quanto riferito dall’avvocata Diala Chehade, che ha assunto la sua difesa, Nada Homsi si è vista irrompere in casa da agenti della Sicurezza generale privi di mandato giudiziario. Dopo il ritrovamento di una piccola quantità di cannabis, gli agenti hanno fatto una telefonata in procura e hanno arrestato la giornalista e il marito, sostenendo vagamente di avere prove contro di lei basate su informazioni d’intelligence. Di quali prove d’intelligence si tratti, non è dato saperlo. Ufficialmente, Nada Homsi è accusata di consumo di droga.
Per i primi sei giorni dopo l’arresto, Nadia Homsi non ha potuto contattare avvocati né familiari. Quando ha insistito per essere difesa, le è stato risposto che “qui alla Sicurezza generale non funziona così”.
Il 25 novembre la procura ha ordinato la scarcerazione ma la Sicurezza generale ha ignorato l’ordine emettendo un decreto di espulsione perché la giornalista non avrebbe il permesso di lavorare in Libano. Il 1° dicembre Amnesty International e Human Rights Watch hanno scritto al capo della Sicurezza generale, il generale Abbas Ibrahim, sollecitando il rilascio di Nadia Homsi e indagini sull’operato dei suoi sottoposti. Non c’è stata ancora risposta.