Quanto conta un profeta in termini di potere? Nulla. Quanto pesa un profeta? Molto. Sostiene il vescovo Rino Fisichella, presidente del consiglio per la Nuova Evangelizzazione, che “profeta non è chi predice il futuro, ma chi sa leggere i segni dei tempi”. Quando i pontefici sono capaci di indicare snodi cruciali della contemporaneità, si impongono sulla scena mondiale.

Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II lo hanno dimostrato. Si pensi allo strenuo impegno di Wojtyla per contrastare l’invasione dell’Iraq voluta dal presidente americano George W. Bush. Era un’avventura priva di fondamento, rivelatasi catastrofica come il papa polacco aveva ammonito. Resta come pietra miliare (18 marzo 2003) la dichiarazione del portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls: “Chi decide che sono esauriti i mezzi pacifici che il diritto internazionale mette a disposizione si assume una grave responsabilità davanti a Dio, alla sua coscienza e alla storia”. Sono questi i momenti in cui i pontefici interloquiscono con l’opinione pubblica mondiale, laicamente, al di là di qualsiasi steccato confessionale o filosofico, rendendo chiari gli spartiacque della storia. Profeta non è chi riesce automaticamente a far vincere la sua visione, anzi i celebri profeti della Bibbia sistematicamente non venivano ascoltati, ma gli eventi successivi dimostravano che il loro grido di allarme era giustificato.

Jorge Mario Bergoglio ha esercitato da subito il ruolo di chi indica la necessità di una visione alternativa alla globalizzazione tecno-finanziaria ispirata al paradigma di un neoliberismo di rapina. Si può concordare o no – a seconda dei propri interessi – ma l’aut aut è ben reale. Se una rivista scientifica di rilevanza internazionale come Nature decide di dedicare spazio e attenzione all’enciclica verde Laudato si’, significa che il profeta Bergoglio – sottolineando il nesso tra irresponsabile degrado naturale e crescente degrado sociale – ha messo il dito su una piaga dalla cui cura o meno dipendono le sorti dell’umanità.

Nel pieno della crisi pandemica mondiale Francesco ha segnalato immediatamente il bivio davanti a cui si trovano le società e gli stati. O ricostruire il mondo “come prima”, cioè sul fondamento di una diseguaglianza impressionante e crescente (poco più di duemila persone posseggono quanto 4 miliardi e settecento milioni di uomini e donne sul pianeta), oppure si lavora per costruire un sistema economico-sociale inclusivo e sostenibile.

Inequità sistemica e nuove schiavitù, di cui fa parte anche il precariato senza garanzie, sono i nodi da sciogliere secondo Bergoglio. Il suo punto di partenza è religioso: non si è cristiani perché ci si accontenta di andare a messa e di proclamarsi identitari, ma lo si è se si segue Cristo nell’opera del Buon Samaritano. Il che tradotto in termini laici vuol dire impegnarsi per la promozione e la tutela della dignità di milioni di donne e uomini, per la loro crescita individuale e sociale in condizioni di vita degne. “Amare il prossimo” per Francesco esige attivarsi. E’ questo il motivo per cui tanti credenti di altre religioni, atei e agnostici, seguono da anni con interesse le sue prese di posizione.

In termini concreti una simile visione implica uno sforzo di radicale innovazione quale si ebbe in Europa occidentale dopo la II Guerra mondiale. Non si resuscitò il sistema economico-sociale d’anteguerra, ma si costruì lo stato sociale e si creò l’economia sociale di mercato. Una simile svolta è (sarebbe) necessaria adesso. Non basta predicare la “crescita” come astratta panacea, si tratta di decidere chi cresce e come si cresce tutti insieme superando le spaccature che attraversano la società.

E qui si fa presto a scendere dall’empireo delle idee per calarsi nella realtà viva. Si potrebbe sottoporre ad esame la situazione di ogni stato, ad uno ad uno. Concentriamoci sull’Italia. Non c’è dubbio che Draghi sia impegnato per una ripresa economica accompagnata da coesione sociale, per quanto possibile. Ma la domanda è: si nota nell’azione del governo la chiara scelta e la realizzazione, per quanto graduale, di una nuova economia sociale, di un nuovo sistema di relazioni economiche, di una decisa inclusione di quanti oggi sono ai margini e allo sbando (giovani, donne, immigrati)? La risposta non può che essere no. Lo sfruttamento senza pudore del lavoro precario. La quota abnorme di lavoro a tempo determinato o di lavoro a somministrazione nelle imprese a tutti i livelli. Il part time obbligato con cui si ricattano coloro che avrebbero il diritto di essere dipendenti a tempo pieno con tutte le garanzie e le provvidenze dovute. Il proliferare del lavoro nero o grigio. L’estendersi del caporalato da sud a nord nei più vari rami imprenditoriali. Il rifiuto del salario minimo obbligatorio. La perdurante inerzia nel combattere la macroscopica evasione fiscale, con il 90 per cento dell’Irpef finanziato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, mentre gli egoisti impuniti fanno uso di ospedali, scuole, servizi, trasporti, infrastrutture per cui non danno un centesimo.

Ecco il catalogo della vergogna su cui si misura la volontà o meno di voltare pagina rispetto ad un sistema reticolare di sfruttamento e di emarginazione di giovani e non più giovani, di donne e disoccupati e immigrati venuti per lavorare.

Ed ecco che le parole di Francesco assumono improvvisamente una pregnanza di immediata attualità. Ci sono potentati economici e politici a cui interessa che le cose rimangano così, e ci sono milioni di donne e uomini per i quali il cambiamento è vitale. Il bivio storico è questo. In questo quadro cade lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil. La farisaica indignazione di partiti e potentati economici, l’imbarazzata “sorpresa” con cui gran parte dell’informazione segue l’iniziativa evidenzia il tentativo di velare il nocciolo della questione. Lo sciopero rappresenta un grido di allarme nel vivo dell’inequità quotidiana. E’ un faro puntato su un crocevia della storia italiana. Richiama Draghi al dovere di scegliere tra il mondo di prima e un mondo rinnovato, più umano. “Chi ha orecchie per intendere, intenda”, dice un detto evangelico comprensibilissimo a menti laiche.

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