In questi giorni ho tenuto una relazione sugli effetti psicologici determinatisi dopo questi due anni pandemici. Avendo uno studio con sei collaboratori ho avuto a disposizione un’ampia casistica di difficoltà emotive, conflittualità e varie situazioni di sofferenza da presentare. Per non illustrare solo i miei dati parziali e locali mi sono letto le ultime più importanti ricerche riguardanti l’argomento. E’ impressionante notare la concordanza che si ritrova negli studi su un aumento del 50% della sofferenza mentale, concentrata per lo più nei più giovani.
Accanto alla pandemia virale stiamo assistendo all’emergere di un’enorme difficoltà emotiva. Le modalità con cui si esprime la sofferenza sono di tre tipi: psichico, somatico e comportamentale.
La modalità psicologica è quella in cui compaiono paure fobiche, pensieri ossessivi, depressione e soprattutto attacchi di panico. Una ragazzina di 18 anni mi racconta che alla mattina avverte un grande senso di vuoto e la sensazione di non riuscire ad uscire da casa. Ha attuato parecchie assenze scolastiche che, pur essendo molto brava, potrebbero precluderle l’ammissione alla maturità.
La modalità somatica di esprimere la sofferenza è insidiosa, in quanto il medico deve sempre capire la complessità della sofferenza. I sintomi più frequenti sono cefalea, vertigini, dolori intestinali, difficoltà nella respirazione, sensazione di avere “il cuore che scoppia”, dermatiti etc. Un ragazzino di 15 anni presenta dolori intestinali improvvisi con necessità di correre in bagno con senso di diarrea imminente. Questa situazione si determina 4-5 volte al giorno. Ha attuato esami e provato alcuni farmaci senza risultati. Sta tutto il giorno ad ascoltare la sua pancia e, dopo la scuola (nella quale i docenti sono stati avvertiti) esce da casa il meno possibile perché impaurito dall’idea di trovarsi in un luogo dove non sia disponibile un bagno.
L’espressività comportamentale della sofferenza mentale è quella che pone più complicazioni sociali. Classicamente i giovani bevono, magari si drogano, attuano risse o aggressività. Cito un evento di cronaca capitato in una vicina cittadina in cui alcuni ragazzi sfidavano la sorte, rimanendo attaccati sull’esterno di un treno in corsa per poi filmarsi e postare le loro performance. L’interpretazione che si può dare è che per non sprofondare nella sofferenza una reazione istintiva è quella di ricercare una scarica adrenalinica che li faccia sentire vivi, come nel film “Gioventù bruciata”.
Come affrontare questa emergenza psicopatologica? Nessuno ha una risposta definita, in quanto un disagio montante in così breve tempo non è usuale. L’unico modello a cui possiamo attingere sono gli studi di diversi autori, pubblicati dopo il secondo conflitto mondiale, fra cui emerge per profondità di pensiero Bowlby.
Provando a fare delle ipotesi le strategie potrebbero essere individuali e collettive. Quelle individuali richiedono un aumento enorme degli operatori psichiatri e psicologi che operano nei servizi di Salute mentale. Già prima della pandemia questi servizi erano alle corde. Ora con un aumento dell’utenza del 50% cosa potranno fare?
Accanto alle terapie individuali, occorre puntare anche su approcci collettivi alla sofferenza mentale per arginare il disagio che, soprattutto nei giovani, appare dilagante. Come fare? Non ho tutte le risposte, anche perché ribadisco che si tratta di una nuova e inusitata situazione. Provo a formulare qualche ipotesi di discussione e lavoro, su cui occorrerebbe un ampio confronto fra gli esperti del campo:
1. Introdurre gruppi di discussione in ambienti formativi, le scuole, gli oratori, i doposcuola, etc. Il modello dovrebbe assomigliare a quello dei gruppi Balint (nati per i medici) in cui uno psicologo facilitatore promuova all’interno di un gruppo la discussione su casi difficili. Questi gruppi dovrebbero essere disponibili gratuitamente per tutti i formatori, su loro richiesta.
2. Costituire nei Comuni o consorzi di Comuni dei gruppi di discussione, coordinati da uno psicologo debitamente formato per interagire coi ragazzi e i giovani che, su base volontaria, desiderano accedervi.
3. Utilizzare i social, Facebook, Instagram, TikTok e altri per veicolare piccole lezioni su singoli temi di natura psicologica, in modo che chiunque possa collegarsi e capire di cosa si tratta (sul modello delle lezioni divulgative di Quark).
4. Nei talk show, oltre ai problemi legati al virus, sarebbe utile parlare e far parlare giovani ed adulti dei problemi emotivi conseguenti allo stravolgimento avvenuto nelle nostre vite. Queste proposte dovrebbero soprattutto immettere nei circuiti emotivi della nostra società un messaggio che ora è essenziale: chi soffre non è solo, c’è qualcuno che cerca di affrontare con lui il suo malessere.