di Annalisa Rosiello

E’ stato recentemente approvato alla Camera dei Deputati il Ddl delega sulla disabilità che prevede all’art. 1, lettera “o”, tra l’altro, la delega a introdurre attraverso uno o più decreti legislativi “misure volte a rimuovere gli ostacoli alla progressione nella carriera professionale delle persone con disabilità, nonché adeguati programmi di formazione continua volti a contrastarne l’emarginazione per intervenuti mutamenti nelle condizioni del mercato del lavoro” e misure volte a “individuare profili professionali riservati a persone con disabilità, definendone i relativi percorsi di formazione, abilitazione e inserimento lavorativo”.

Si tratta del compito di specificare parte di quelli che sono definiti ragionevoli accomodamenti riguardanti le persone con disabilità, ovvero le “modifiche e adattamenti necessari e appropriati, che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali” (Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del dicembre 2006). E’ bene precisare che da molti anni tali adattamenti sono obbligatori per legge (di derivazione comunitaria) e se l’azienda non li attua commette discriminazione nei riguardi della persona con disabilità.

La legge delega prevede anche il riordino “della disciplina dei congedi parentali per i soggetti che assistono familiari con disabilità” e la promozione di “misure funzionali a realizzare un adeguato rapporto tra attività lavorativa ed esigenze della vita privata, sia a favore della persona con disabilità, sia per i soggetti che prestano attività di cura e assistenza”. Queste “misure funzionali” potrebbero riguardare una parziale estensione delle soluzioni ragionevoli anche alla figura del caregiver familiare. Peraltro il/i decreti legislativi potrebbero considerare il lavoro già svolto nel Ddl 1461 Senato riguardante la specifica materia.

Come già scritto in un precedente contributo su questo blog, ci sono anche altre categorie esposte a rischi particolari sia a livello di salute che di discriminazioni: si tratta principalmente delle persone in età avanzata, delle donne e delle persone che hanno difficoltà a conciliare le esigenze di vita con quelle di cura di figli piccoli (o, come per i caregiver, di familiari non autosufficienti).

Queste categorie di persone sono più soggette a rischio di marginalizzazione e di espulsione dal mercato del lavoro; e, anche per esse, la legge dovrebbe prevedere – oltreché il già contemplato divieto di discriminazione diretta o indiretta – l’obbligo per i datori di lavoro di adottare “soluzioni ragionevoli” volte a una migliore integrazione, allo sviluppo della loro professionalità, al reperimento di nuove skills, al mantenimento del posto di lavoro. Si potrebbe porre in tal modo un argine ai licenziamenti che celano discriminazioni di vario tipo, sollecitando le aziende ad adottare soluzioni creative, riqualificando, riorganizzando il lavoro, formando, impiegando con orario flessibile, ecc. lavoratori in condizioni di particolare svantaggio personale, familiare e sociale.

Un passo avanti è stato fatto dalla legge “Ciprini” contenente modifiche al decreto legislativo in materia di pari opportunità uomo-donna. Questa legge, tra le varie novità, ha ampliato, o comunque precisato, la nozione di discriminazione indiretta, stabilendo che rientrano in tale fattispecie tutti i trattamenti o le modifiche dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, pongono il lavoratore in una posizione di svantaggio o ne limitano le opportunità.

Si potrebbe quindi cogliere anche l’occasione del varo di questo/i decreto/i legislativo/i per svolgere un’operazione ancor più coraggiosa, ovvero quella di estendere a tutte le categorie fragili l’obbligo di adottare ragionevoli accomodamenti secondo la definizione sopra data.

La proposta potrebbe più o meno suonare così: “al decreto legislativo 9 luglio 2003, n° 216, art. 3, si aggiunge il seguente comma: Inoltre, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone per età, genere e delle persone che si dedicano alla cura di familiari con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare soluzioni ragionevoli e sostenibili dal punto di vista economico, tecnico, organizzativo, logistico e della formazione per garantire la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. La non adozione di tali misure è considerata come discriminazione, ai sensi dell’art. 2, comma 1“.

In questo modo tutte le persone in condizioni di fragilità potrebbero avvantaggiarsi – a condizioni di ragionevolezza – di trattamenti favorevoli che non fanno altro che attuare l’articolo 3, secondo comma della nostra Costituzione (rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza).

Del resto anche il recente protocollo “Orlando” sullo smartworking conferma quest’ultimo quale strumento di conciliazione per chi ha responsabilità genitoriali e di assistenza a familiari e, all’articolo 10, stabilisce che le Parti sociali si impegnano a “facilitare l’accesso al lavoro agile per i lavoratori in condizioni di fragilità e di disabilità, anche nella prospettiva di utilizzare tale modalità di lavoro come misura di accomodamento ragionevole”.

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