L’inflazione in Gran Bretagna sale a novembre sopra il 5%, segnando il livello più alto da un decennio. L’indice dei prezzi al consumo segna un aumento del 5,1% su base annua, dal +4,2% di ottobre e contro una previsione degli analisti del +4,8%. Rispetto allo scorso ottobre i prezzi sono cresciuti dello 0,7%. Il dato britannico arriva alla vigilia della due giorni delle grandi banchi centrali che riuniranno i rispettivi consigli per decidere se ridurre i sostegni all’economia per cercare di raffreddare i prezzi. Oggi comincia la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, domani sarà la volta della Banca centrale europea e della Bank of England. La Fed sembra più orientata a pigiare il pedale del freno, negli Stati Uniti l’inflazione ha toccato il 6,8% il valore più alto dal 1982. Il governatore della Fed Jerome Powell, fresco di rinnovo, ha recentemente affermato che il termine “transitoria” non è più adatto a descrivere l’attuale incremento dei prezzi, lasciando intendere che la banca centrale si approccerà in modo meno accomodante. Da Washington ci si attende quindi un’accelerazione nel ritmo di riduzione degli stimoli all’economia e indicazioni sulle tempistiche di possibili rialzi dei tassi nel corso del 2022. Il valore degli acquisti di titoli sul mercato dovrebbe diminuire di 30 miliardi di dollari al mese (il doppio rispetto a quanto accade ora). Gli acquisti dovrebbero così azzerarsi in primavera, lasciano quindi spazio a successivi aumenti dei tassi.

Più incerte le previsione sulle mosse della Bce. Nella zona euro l’inflazione ha raggiunto in novembre il 4,9%, il valore più alto da quando esiste la moneta unica. La Germania e altri paesi spingono per un cambio di rotta nelle politiche monetarie che più sono espansive, e quindi tassi bassi e acquisti di titoli, più favoriscono la crescita economica ma anche l’inflazione Tuttavia in Europa la crescita economica, sebbene sostenuta, è ritenuta ancora fragile e soggetta a rischi di frenata. A maggior ragione ora che la diffusione della variante Omicron sembra complicare il cammino verso una piena ripresa. Il fattore Omicron incide in due modi perniciosi per quelli che sono i compiti delle autorità monetarie. Da un lato interferisce con la piena operatività delle attività produttive, dall’altro aumenta le pressioni al rialzo sui prezzi causando rallentamenti alle catene di approvvigionamento. Dalla riunione di domani si attende comunque una qualche indicazione da parte della presidente Christine Lagarde su un programma di graduale riduzione degli stimoli. Annunci attesi con il fiato sospeso in particolare a Roma. Una riduzione degli acquisti di titoli pubblici avrebbe come probabile conseguenza anche un incremento del differenziale di rendimento tra bond italiani e tedeschi (il cosiddetto spread).

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