La Fed annuncia il cambio di rotta di fronte a un’inflazione che galoppa. Pur mantenendo i tassi di interesse invariati, la banca centrale americana – come atteso – raddoppia la velocità del processo di riduzione degli acquisti di asset portandola a 30 miliardi di dollari al mese, dai 15 miliardi di novembre e dicembre. A tale passo il cosiddetto “tapering” si chiuderà in marzo, concedendo così alla Fed una maggiore flessibilità sui tassi di interesse, per i quali – emerge dalla dot-plot – si prevedono tre rialzi nel 2022 e altri tre nel 2023.
“Non alzeremo i tassi fino a quando il tapering non sarà chiuso”, spiega Jerome Powell illustrando le decisioni della banca centrale al termine della due giorni di riunione. “La ripresa economica procede rapida ma la variante Omicron pone dei rischi all’outlook”, aggiunge il presidente della Fed. “I prezzi caleranno il prossimo anno”, osserva Powell riferendosi all’inflazione ai massimi da decenni al 6,8%. Una volata non più transitoria e che inizia a mordere i portafogli degli americani, come mostrato dalla crescita sotto le attese delle vendite al dettaglio salite in novembre di un modesto 0,3%. L’accelerazione del tapering è stata decisa dalla Fed all’unanimità e “alla luce degli sviluppi dell’inflazione e dei miglioramenti sul mercato del lavoro”, spiega la banca centrale americana, che come previsto ha rimosso dal comunicato finale il termine “transitoria” per descrivere l’andamento dei prezzi.
Powell – fresco della nomina a un secondo mandato decisa da Joe Biden – mette comunque in guardia come l’economia post-pandemia sarà diversa da quella del 2020. Per ora comunque l’attuale livello dei tassi di interesse fra lo zero e lo 0,25% resta appropriato. Wall Street, da giorni preoccupata e cauta in attesa della riunione, accoglie positivamente le decisioni della Fed e procede positiva dopo una seduta contrassegnata dal segno meno.
L’attenzione si sposta ora sull’altra sponda dell’Atlantico e su Christine Lagarde. Le previsione sulle mosse della Bce sono incerte. Nella zona euro l’inflazione ha raggiunto in novembre il 4,9%, il valore più alto da quando esiste la moneta unica. La Germania e altri paesi spingono per un cambio di rotta nelle politiche monetarie che più sono espansive, e quindi tassi bassi e acquisti di titoli, più favoriscono la crescita economica ma anche l’inflazione. Tuttavia in Europa la crescita economica, sebbene sostenuta, è ritenuta ancora fragile e soggetta a rischi di frenata. A maggior ragione ora che la diffusione della variante Omicron sembra complicare il cammino verso una piena ripresa. Il fattore Omicron incide in due modi perniciosi per quelli che sono i compiti delle autorità monetarie. Da un lato interferisce con la piena operatività delle attività produttive, dall’altro aumenta le pressioni al rialzo sui prezzi causando rallentamenti alle catene di approvvigionamento. Dalla riunione di giovedì si attende comunque una qualche indicazione da parte della presidente Christine Lagarde su un programma di graduale riduzione degli stimoli. Annunci attesi con il fiato sospeso in particolare a Roma. Una riduzione degli acquisti di titoli pubblici avrebbe come probabile conseguenza anche un incremento del differenziale di rendimento tra bond italiani e tedeschi (il cosiddetto spread).