Quando ho visto il primo film su Spider-Man, quello di Sam Raimi, avevo diciassette anni e ricordo che la sala era piena solo a metà, nonostante fosse lo spettacolo serale. C’erano una manciata di fumettari più o meno coetanei e tutto il resto era pubblico trasversale, mediamente coinvolto, in gran parte lì solo per accompagnare i figli piccoli. Personalmente mi sentivo molto coinvolto, non solo perché ho praticamente imparato a leggere sui fumetti Marvel, ma anche perché il mio eroe d’infanzia, sullo schermo, in quel film aveva la mia stessa età, anche se fittizia. Fu un apice di intrattenimento della mia gioventù, ma ricordo che uscii dalla sala con la sensazione di aver provato qualcosa di intimo, di poco condiviso col resto degli spettatori.
Ieri sono tornato al cinema per assistere a uno spettacolo delle 15.30 dopo non so quanto tempo. Un po’ perché la montatura pubblicitaria che ha preceduto l’uscita di Spider-Man: No Way Home ha avuto particolare effetto su di me, in quanto fan di lunga data, un po’ per evitare la calca, eppure mi sono trovato a fare comunque la fila al botteghino. E si trattava di un cinema tutto sommato periferico.
Ho visto ragazze e ragazzi che non erano neppure nati quando uscì il primo film di Raimi, applaudire, esaltarsi, commuoversi, riconoscere citazioni dai film precedenti come se avessero vissuto la stessa identificazione col personaggio, pretendere il silenzio dagli amici meno coinvolti, trattenersi fino alla fine dei titoli di coda in attesa delle solite scene nascoste. Era un happening a tutti gli effetti, un intrattenimento tematico condiviso su scala mondiale.
Trovo molto più esemplificativo parlare delle reazioni del pubblico che del film in sé, d’altra parte l’universo cinematografico Marvel sta andando in una direzione precisa: quella di rendere difficilissime le esegesi a caldo dei suoi film. Troppo alto il rischio di spoiler, troppo connessi i titoli interni alla produzione. Tuttavia, andando all’osso, penso si possa scrivere che Spider-Man in questo film ha di nuovo 17 anni, e vive un violento dissidio tra il suo personaggio pubblico e quello privato. La sua intimità viene frantumata dai media ossessivi del 21esimo secolo e di conseguenza aggredita da una serie di nemici che neppure sono i suoi, ma che su di lui proiettano le proprie frustrazioni come se lo conoscessero da sempre, con tutta la violenta furia di un hater coi superpoteri. Una tematica abbastanza attuale, dato che ognuno degli adolescenti odierni in carne e ossa, che sia stato morso da un ragno radioattivo o meno, vive grazie ai social una dimensione da personaggio pubblico, almeno nella propria bolla di amici o compagni di scuola. Con tutti i pericoli che rischi che ne conseguono.
A dispetto dei suoi grandi poteri, Peter Parker è ancora soltanto un ragazzo, e come tale fa confusione tra ciò che vuole e ciò di cui ha bisogno, prende qualche cantonata e parecchi scivoloni, ma ha un cuore buono ed è circondato da persone che gli vogliono bene, per quanto esiguo possa sembrare il loro numero. Una volta ritrovata la bussola, una volta confrontatosi con le parti più mature di sé, è pronto per affrontare la sua battaglia più importante.
Torna forte il tema della responsabilità tipico dell’Uomo Ragno, così come quello dell’opportunità o meno della vendetta di fronte al male ingiustamente subito. Questo film viaggia su linee sicure rispetto ai contenuti, mantenendo le ambizioni letterarie a portata di blockbuster, ma rilancia sulla forma con tutta la grandeur immaginabile, dando ai fan tutto ciò che hanno sempre desiderato da un film di Spider-Man, in particolare dall’ottavo film dedicato al personaggio in vent’anni. Il risultato è un gigantesco, roboante fumettone colorato che è un grande tributo non solo a tutte le rappresentazioni cinematografiche dell’Arrampicamuri, ma anche a tutti gli adolescenti di tutte le linee temporali che hanno in comune il fatto di amarlo. Martin Scorsese ha ragione, più che cinema, probabilmente questi sono luna park tematici. E tuttavia non sa cosa si perde, a non avere diciassette anni oggi.