“Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi“. “Non lo so se è stato lui”, ha risposto Giuseppe Graviano ai pm della procura di Firenze. Poi gli investigatori hanno ommissato il resto delle dichiarazioni del boss di Cosa nostra. Gli “omissis” sono contenuti nel verbale pubblicato da Lirio Abbate sull’Espresso. Dopo lo show tenuto al processo ‘Ndrangheta stragista, infatti, Graviano è stato interrogato dai pm della procura di Firenze che indagano sulle stragi del 1993. A Reggio Calabria il boss delle stragi aveva sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconi, grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ’70. Ha parlato di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. Ha invitato a indagare sul suo arresto, avvenuto al ristorante Gigi il cacciatore il 27 gennaio del 1994, per scoprire i veri mandanti delle stesse stragi. Graviano non è un collaboratore, ma è un capomafia condannato per le stragi che non si è mai pentito di quello che ha fatto. I suoi racconti sono tutti da verificare e sono stati già smentiti dai legali di Berlusconi. Lo stesso leader di Forza Italia, però, è ancora indagato insieme a Marcello Dell’Utri per concorso nelle stragi del 1993. Ecco perché i magistrati di Firenze, Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Luca Tescaroli, sono andati a interrogare Graviano.
Nei due interrogatori a cui è stato sottoposto il boss di Brancaccio ha raccontato le presunte collusioni economiche della sua famiglia con Berlusconi: accuse, è il caso di ricordare, che sono tutte da verificare. “Mio nonno, Filippo Quartararo, che lavorava nel settore ortofrutticolo, mi raccontò che aveva conosciuto Silvio Berlusconi attraverso un tramite il cui nominativo non conosco; Berlusconi gli aveva chiesto di operare un investimento di 20 miliardi di lire per le sue attività, con l’intesa di una partecipazione al venti per cento a tutte le attività ed ai proventi derivanti da tale investimento. Mio nonno non aveva questa cifra così esosa, ne ha parlato con mio papà. E allora si rivolse ad alcuni conoscenti coinvolgendoli nell’operazione. Mio nonno investì l’importo di quattro miliardi e mezzo di lire; le altre persone che investirono denaro insieme a lui erano Carlo Alfano, per l’importo di dieci miliardi di lire, poi Serafina, moglie di Salvatore Di Peri, Antonio La Torre detto Nino il pasticcere e Matteo Chiazzese, per l’importo residuo”, è il racconto del mafioso.
La procura di Firenze sta continuando a indagare per cercare di verificare ogni frase del racconto di Graviano. Secondo il boss a provare i presunti rapporti economici con Berlusconi esiste persino “una carta scritta“, cioè una sorta di scrittura privata nella quale sarebbe contenuta non solo l’indicazione della somma investita, ma anche l’impegno da parte di Berlusconi a restituire quei soldi con gli interessi. “Mio nonno mi ha raccontato questa vicenda dopo la morte di mio padre avvenuta il 7 gennaio 1982; egli mi disse che mio padre non aveva voluto sapere nulla di questa situazione e mi chiese di occuparmene insieme a mio cugino Salvatore Graviano con il quale ci siamo rivolti a Giuseppe Greco, il papà di Michele. Ad entrambi ho chiesto consiglio, raccontandogli tutta la storia dei rapporti tra mio nonno e Berlusconi”. I pm gli chiesto se i Greco citati – Michele Greco era il “Papa” della mafia – facevano parte di Cosa nostra, ma Graviano risponde così: “Sul punto non intendo fornire indicazioni”.
Dopo essersi confrontato col “Papa della mafia”, il boss di Brancaccio sostiene di essere andato a Milano con il nonno e il cugino Salvatore per incontrare Berlusconi. Quell’incontro sarebbe avvenuto all’hotel Quark. Dopo le presentazioni “mio nonno ha consegnato a mio cugino Salvatore una ‘carta’ che mi ha mostrato: era firmata da Berlusconi e da tutte le persone che avevano effettuato l’investimento e prevedeva l’impegno di condividere il 20 per cento di quanto era stato realizzato con l’investimento iniziale. La carta era stata predisposta da un professionista, non so dire se un notaio, un avvocato o in commercialista”. A sentire Graviano quel documento “è ancora esistente ed è ancora conservato. Un giorno spero di poterlo recuperare”. A quel punto il pm Turco chiede: “Perché non lo dice a noi e ci mette nelle condizioni di recuperarla questa carta?”. Il boss si rifiuta: “No, perché devo coinvolgere delle persone che io non vorrei coinvolgere […] per adesso non vi posso aiutare su questo punto. Se mi volete credere mi credete…”. E poi aggiunge: “Questo documento era in possesso di mio cugino Salvatore; mi devo sentire con dei miei parenti che devono mettermi nelle condizioni di recuperare il documento; non ho interesse a recuperare il denaro, ma solo a far rispettare l’impegno e a far emergere la verità”. Secondo il racconto del boss delle stragi, riportato dall’Espresso, “l’intendimento mio e di mio cugino è sempre stato quello di ottenere da Berlusconi la formalizzazione dell’accordo. L’ultimo incontro che ho avuto con Silvio Berlusconi è avvenuto nel dicembre 1993 nel corso del quale ci accordammo per formalizzare l’accordo di partecipazione societaria davanti ad un notaio per la data del 14 febbraio 1994″. L’incontro dal notaio, però, non avverrà mai perché Graviano sarà arrestato insieme al fratello Filippo il 27 gennaio del 1994, ventiquattro ore dopo la discesa in campo di Berlusconi col celebre discorso su “l’Italia è il Paese che amo”.
Sempre davanti ai pm, il boss ha ripetuto che l’ultimo incontro con l’uomo di Arcore, quello del dicembre del 1993, “avvenne in un appartamento a Milano 3 che Berlusconi aveva messo a disposizione di mio cugino Salvo; Berlusconi era accompagnato da due persone di cui non so riferire niente”. Il mafioso ha persino descritto l’appartamento: “Era piccolo, forse un paio di stanze, al primo o al secondo piano di una palazzina, c’era l’ascensore. Dalla finestra si vedeva una caserma dei carabinieri, sul davanti della palazzina la strada si attraversava per il tramite di un ponticello (ve n’era più di uno) che conduceva ad uno spazio antistante ad una piscina e più avanti vi era un albergo e un esercizio commerciale”. Come ha raccontato Marco Lillo sul Fatto Quotidiano nelle scorse settimane gli investigatori della Dia di Firenze hanno fatto un giro con grande circospezione nella città satellite costruita nel comune di Basiglio, alle porte di Milano, dal gruppo Berlusconi negli anni ottanta. Lo scopo era verificare il racconto di Graviano sul luogo dove si sarebbe tenuto l’ultimo dei suoi tre presunti incontri con Berlusconi. Durante gli interrogatori a Graviano sono stati mostrati alcuni video girati a Milano 3: “Il residence che ho appena visionato nelle immagini è quello che ho indicato, anche se non riesco a individuare esattamente l’appartamento”, ha detto il boss. Che ha aggiunto: “Sono convinto che io e mio cugino Salvatore siamo stati arrestati per impedirci di formalizzare l’accordo economico con Berlusconi, e le stragi sono cessate per addossare tutte le precedenti a me”. A sentire Graviano in alcune occasioni Berlusconi avrebbe pagato parte degli interessi maturati: “Nelle varie occasioni Berlusconi ha incontrato mio cugino Salvo dandogli il denaro in contanti. Mio cugino investì il denaro nella Iti caffè che stava andando in fallimento. Un’altra consegna è avvenuta quando è stato dato del denaro a Baiardo (favoreggiatore di Graviano ndr) per acquistare un appartamento ad Omegna”.
Un altro passaggio dell’interrogatorio è dedicato alle frasi pronunciate in carcere da Graviano nel 2016, quando era intercettato dalla procura di Palermo. “”Nel 2009 mi sono stato zitto al processo”, diceva riferendosi al processo d’appello a Marcello Dell’Utri. I pm chiedono adesso: “Cosa avrebbe detto in quell’occasione?”. Risposta: “Avrei potuto rendere dichiarazioni sulle stesse circostanze che vi ho riferito in ordine ai rapporti economici con Berlusconi. Poiché mi viene evidenziato che in tale racconto non vi è alcun riferimento a Dell’Utri, rappresento che comunque un legame sussiste”. I magistrati continuano con le domande: a cosa si riferiva quando diceva che “i veri intrighi di Berlusconi, quelli veri li sa Dell’Utri?”. Il boss risponde: “Il riferimento è alle attività opache delle società di Berlusconi”. I pm gli hanno riportato un altro passaggio delle intercettazioni in carcere, quando il boss diceva: “Non hai fatto niente e ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni e i giorni passano, gli anni passano, sto invecchiando eh no, tu mi stai facendo morire in galera… senza io aver fatto niente. Che sei tu l’autore… io ho aspettato, senza tradirti, ma ti viene ogni tanto in mente di passarti la mano sulla coscienza se è giusto che per i soldi… tu fai soffrire le persone così”. Con quella parole Graviano si riferiva a Berlusconi? Risposta: “Sì”. In un altro passaggio Graviano abbassa la voce e al suo compagno di ora d’aria riferisce: “In quel periodo c’erano… i vecchi, elezioni ….e lui […] anzi meglio, anzi, lui mi dice: “ci volesse una bella cosa” (ci vorrebbe una cosa bella ndr)”. I pm ripetono la domanda: si riferiva a Berlusconi? “Sì”.