Tutto si era fermato a febbraio, dopo che i 2 milioni di metri cubi di terra e roccia in movimento che da anni minacciano il paese di Tavernola Bergamasca avevano accelerato: da qualche millimetro al mese avevano iniziato a scorrere a 2,5 centimetri al giorno. Dal 13 luglio le attività sono ripartite e si rischia anche la dispersione di materiali altamente inquinanti
C’è anche chi parla di rischio Vajont. Eppure la attività estrattive sul monte Saresano sopra il Lago di Iseo sono ripartite. Tutto si era fermato a febbraio, dopo che i 2 milioni di metri cubi di terra e roccia in movimento che da anni minacciano il paese di Tavernola Bergamasca avevano accelerato: da qualche millimetro al mese avevano iniziato a scorrere a 2,5 centimetri al giorno. Troppo rischioso continuare a far brillare esplosivo nella cava Ca’ Bianca, a 500 metri dalla frana. È troppo rischioso continuare a tenere aperto il cementificio della Italsacci, società proprietà di Italcementi, da qualche anno parte del gruppo Heidelbergcement, dove lavorano una settantina di persone e sono stoccati materiali pericolosi, come combustibili e additivi.
Lo scenario in caso di distacco della frana fa paura: il cementificio verrebbe in parte investito, mentre le rocce cadute nell’acqua del lago provocherebbero, secondo uno studio dell’università di Bologna, onde anomale in grado di sommergere case e impianto, con conseguente dispersione dei materiali inquinanti stoccati. Per questo a febbraio le esplosioni nella cava da cui si estrae marna di cemento, in gergo tecnico “volate”, erano state fermate, così come l’attività del cementificio. Dai magazzini erano anche stati portati via, su richiesta della procura di Bergamo, i materiali pericolosi. Ma dopo i giorni di allarme e il clamore mediatico, la frana ha decelerato. Il 13 luglio il cementificio ha riaperto, nei magazzini sono tornati combustibili e additivi. E il 24 novembre Regione Lombardia ha comunicato il prosieguo delle attività anche nella cava. Una cosa “folle”, per Devis Dori, deputato bergamasco ex M5S oggi in Leu, che di recente ha portato la questione in aula alla Camera con un’interpellanza urgente cui il ministero della Transizione Ecologica ha risposto limitandosi in sostanza a riportare quanto già detto dalla Regione. E cioè che le volate sono state limitate a due a settimana, per un massimo di 350 chili di esplosivo ciascuna. E che qualora la velocità della frana torni a superare i 2 millimetri al giorno, tutto dovrà essere riconsiderato.
Queste del resto sono le limitazioni suggerite in un report di ottobre dell’università degli studi di Firenze, della Bicocca e del Politecnico di Milano, i tre atenei incaricati da Regione Lombardia di individuare le cause della frana, ottimizzarne il monitoraggio e proporre soluzioni per la stabilizzazione del versante. Ma il report delle università, oltre ad avallare di fatto la ripresa condizionata delle attività, ha messo anche nero su bianco parole preoccupanti. Perché le attività di miniera sono state individuate tra le concause della frana, insieme, tra le altre, a condizione geologica, sismi e pioggia. Mentre le conseguenze di due volate di test condotte il 26 agosto con 300 e 350 chili di esplosivo hanno portato gli studiosi a scrivere che “apparentemente il sistema risente dell’effetto delle volate accelerando nei 10 giorni successivi. Dopo il 3-4 settembre 2021 tutte le mire registrano una progressiva decelerazione fino ad assestarsi su un valore di velocità pari a circa 0.5 millimetri al giorno”.
Se la frana ha accelerato per 10 giorni e ora si consentono due volate a settimana, non c’è il rischio che nemmeno abbia il tempo di rallentare prima della successiva sollecitazione, causando un effetto a catena? “I test di agosto non hanno consentito di provare dal punto di vista scientifico un nesso causale certo tra volate e accelerazione. Per questo nel report è stata usata la parola ‘apparentemente’”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giovanni Crosta, docente di Geologia applicata all’università Bicocca. Il professore ritiene che al momento le limitazioni imposte costituiscano un buon margine di sicurezza, in considerazione dei test di agosto e del fatto che fino a febbraio le cariche usate dalla Italsacci erano in media di 450 chili e potevano arrivare fino a 1.000. Il tutto in attesa che terminino le analisi sugli effetti delle cariche fatte brillare dopo agosto. E questo è un altro punto controverso: per il 27 ottobre erano previste altre esplosioni di prova, con cariche fino a 672 chili. Perché la Regione non ha aspettato che venissero analizzati questi dati prima di far ripartire le attività? E perché non si realizzano prima le opere di mitigazione proposte nello studio? “Regione Lombardia – rispondono dagli uffici della direzione generale Ambiente e clima – non ha autorizzato alcuna ripresa delle attività ma, al contrario, ha stabilito ulteriori limitazioni, a fini precauzionali, del programma di attività sperimentali già autorizzato a luglio per il solo anno 2021. Limitazioni stabilite secondo le indicazioni fornite dai consulenti delle università incaricati dalla Regione, a seguito delle elaborazioni effettuate dagli stessi sui primi dati sulle volate effettuate nel mese di agosto”.
“Qui si stanno facendo esperimenti mettendo a rischio la vita dei cittadini e l’ambiente – accusa Devis Dori – Ogni attività doveva essere fermata in attesa dei risultati dei test di ottobre e della realizzazione delle opere di stabilizzazione del fronte franoso. La Regione non ha usato alcun principio di precauzione”. Molto critico anche il consigliere del M5S Dino Alberti: “Pare di vivere un altro Vajont. Da una parte cittadini e comitati ambientalisti che continuano a dire di fermare tutto e dall’altra le amministrazioni che devono prendere le decisioni che continuano a voltare la testa dall’altra parte, noncuranti del pericolo”. Per Nicola Casagli, docente di Geologia applicata dell’università di Firenze, la decisione di consentire la prosecuzione delle attività prima di ultimare tutti i test è stata una decisione politica. In ogni caso – spiega – le nuove volate consentiranno di raccogliere ulteriori dati utili a meglio comprendere l’effetto cumulato delle esplosioni e “il sistema di monitoraggio è sempre attivo e in caso di superamento delle soglie di spostamento indicate ogni attività dovrà essere riconsiderata”.
Venerdì 17 dicembre è previsto un incontro in Regione per discutere i risultati delle ultime analisi, dopo che i tecnici della direzione generale Ambiente e clima hanno già ricevuto una bozza del nuovo report. Ma di quanto si è mossa la frana dopo la ripresa delle attività estrattive? Italsacci risponde che “la frana è in continuo rallentamento, anche in seguito alla ripresa delle attività. Al momento siamo, in media, sui 4-5 millimetri al mese”. Secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, tuttavia, le nuove volate hanno prodotto sulla frana effetti maggiori rispetto a quelli di agosto. Un risultato che potrebbe indurre la Regione a imporre restrizioni più severe.