Per il giudice l'ex primo cittadino di Riace "dopo aver realizzato l’encomiabile progetto inclusivo dei migranti, essendosi reso conto che gli importi che venivano elargiti dallo Stato per governare quel fenomeno erano più che sufficienti allo scopo, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva ben pensato di reinvestire in forma privata la gran parte di quelle risorse". La replica: "Le risultanze del processo dimostrano altro, praticamente il Tribunale di Locri mi condanna sulla base di dubbi e di falsità"
“Un vero e proprio organismo associativo elevato a Sistema, che ruotava attorno all’illegale approvvigionamento di risorse pubbliche”. Per il Tribunale di Locri era questo il “modello Riace” messo in piedi da Mimmo Lucano condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di carcere alla fine del processo “Xenia”. Il giudice Fulvio Accurso ha depositato oggi le motivazioni della sentenza emessa a fine settembre. Nel provvedimento si parla di un “sistema che si basava su una piattaforma organizzativa collaudata e stabile, che si avvaleva dell’esperienza e della forza politica che Lucano possedeva e che questi esercitava in forma padronale ed esclusiva, tanto da indurre tutti al silenzio”.
Il magistrato, in sostanza, ha sposato l’impianto accusatorio della Procura di Locri. Nella sentenza, infatti, si fa riferimento a “una regia comune” che ha animato i componenti dell’associazione a delinquere condannati assieme a Mimmo Lucano per la gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel Comune di Riace. “Tutti i componenti dell’organizzazione – si legge nelle 904 pagine di sentenza – hanno agito accettando di sostenere politicamente Lucano, ricevendo da esso, in cambio, piena libertà di movimento nella loro azione illecita di accaparramento delle risorse pubbliche”. Per il Tribunale, in sostanza, “si è trattato più precisamente, di un’organizzazione tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole ben precise a cui tutti puntualmente si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano Domenico, che ne era al vertice, il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno di essi eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale”.
“In altre parole Lucano Domenico, – scrive sempre il presidente Accurso – dopo aver realizzato l’encomiabile progetto inclusivo dei migranti, che si traduceva nel cosiddetto Modello Riace, invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo, essendosi reso conto che gli importi che venivano elargiti dallo Stato per governare quel fenomeno erano più che sufficienti allo scopo, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva ben pensato di reinvestire in forma privata la gran parte di quelle risorse, con creazione di progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti (tra cui l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica) che costituivano, ad un tempo, una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate”.
Per i Tribunale di Locri “è di tutta evidenza che detto imputato non versasse in alcuna condizione di pericolo per la sua o per l’altrui persona e che abbia operato con costanza nell’illecito, in modo studiato, consapevole e volontario, per come emerge sia dalle sue azioni che, soprattutto, dalle sue stesse parole, le quali si traggono in modo incontestabile dalle intercettazioni”. I giudici non hanno creduto a Lucano nemmeno sulla circostanza che l’ex sindaco di Riace “non si sarebbe intascato nulla dalle varie azioni che gli vengono addebitate, tanto da essere sostanzialmente impossidente, avendo egli agito al solo scopo di fare del bene al prossimo”. Per il Tribunale, va sfatato questo “falso mito”: “Ritiene, invece, il Collegio – si legge sempre nella sentenza – che l’analisi attenta delle sue stesse parole, tratte dalle intercettazioni di cui si dispone, e che sono state di volta in volta esaminate, abbia inchiodato Domenico Lucano alle sue incontestabili responsabilità, smascherando il mendacio permanente di cui lo stesso si è servito per accreditarsi all’esterno, in modo del tutto diverso da come ha spudoratamente agito”.
“Praticamente il Tribunale di Locri mi condanna sulla base di dubbi e di falsità”. È questo il commento a caldo di Mimmo Lucano secondo cui “le risultanze del processo dimostrano altro”. “Non mi aspettavo dei complimenti nelle motivazioni della sentenza, ma neanche che il Tribunale di Locri mi condannasse sulla base di cose non vere – aggiunge l’ex sindaco di Riace – È tutto molto strano. Il colonnello della guardia di finanza che è stato interrogato, rispondendo a domande precise del Tribunale, ha detto che non ho patrimoni e che non era mia intenzione arricchirmi. Dal processo non si evince per nulla l’interesse economico. Perché devo subire quest’aggressione mediatica basata su accuse infondate? Io non ho nulla. Mi domando come mai in tanti anni di indagine gli investigatori non hanno mai trovato un euro nelle mie tasche. Lo hanno detto anche in aula. Dov’è questo tesoro? Non potranno mai dimostrare che mi sono arricchito semplicemente perché la realtà è diversa ed è quella che io ho sempre raccontato. Si infanga ancora una volta la mia immagine ma io non voglio che la gente abbia dei dubbi su di me. Aspetto di consultarmi con i miei avvocati per ricorrere in appello. Sono sicuro che dimostrerò la mia innocenza”.