Manna dal cielo quel gol di testa. Il solito gol da colpo di testa, ma stavolta infiocchettato proprio a mo’ di strenna natalizia visto il periodo. Eh già, perché se ti ritrovi a giugno campione d’Italia, a settembre parti per difendere quel tricolore cucito sul petto e poi ti ritrovi a dicembre a due punti dalla zona retrocessione serve proprio qualcosa tra il mistico e il natalizio. Specie se poi quel gol vittoria che allontana la zona calda della classifica arriva contro chi sogna di scucire dal petto lo scudetto alla Samp: la Juve di Trapattoni e Roby Baggio. Anche se l’autore di quel gol, Srecko Katanec, di Babbo Natale per la verità non ha proprio nulla: alto e magro, la faccia lunga e di sorrisi manco a parlarne. Che poi il “manco a parlarne” è quasi una linea di condotta per quel calciatore sloveno: poche o pochissime parole, quando serve, come serve. Come i gol d’altronde: non molti, ma quando servono.
Anche perché Srecko ha un altro mestiere in campo: quale non si sa bene, ma di certo non è il bomber. Partito da Lubjana, già bimbo giocava a calcio, fino ad arrivare all’Olimpia. Gran calciatore, qualcuno dice addirittura meglio ancora come cestista, e questo negli anni di Genova avrà modo di sperimentarlo Gianluca Pagliuca in particolare. Ma è forte pure a calcio, tanto che la Slovenia gli sta stretta: arriva prima la Dinamo Zagabria, poi, a evidenziare già la tendenza di essere antidivo va al Partizan Belgrado. In un’epoca, metà anni ’80, in cui tutti i migliori sono dall’altra parte, alla Stella Rossa. E vince il campionato, al Partizan. Da lì passa allo Stoccarda, ed entra a far parte stabilmente anche della nazionale jugoslava, il Brasile d’Europa. Alto, tosto, intelligente, con una passione per i palloni aerei nelle aree di rigore avversarie, con i tedeschi arriva in finale di Coppa Uefa contro il Napoli, perdendo però, ma entrando nei radar dei migliori club europei.
Piace da morire a Vujadin Boskv, meno al presidente Mantovani, che nell’estate del 1989 insegue il sogno di Steve McMahon: il Liverpool gli chiede troppo però, e dopo la fumata nera con Dalglish ripiega su Srecko, per poco più di tre miliardi di lire. Katanec non se ne fa un cruccio, o magari sì: non si comprenderà granché, essendo perlopiù imperscrutabile. Qualche dialogo pieno di K con Vujadin Boskov, qualche sfida a pallacanestro con Gianluca Pagliuca, tutte stravinte si dice, e poi il campo: ruolo non ben definito, a centrocampo, sì, e va bene al centro, ma pure a sinistra, e anche terzino se serve. Parla poco Srecko ma è intelligente e fa gol pesantissimi: due di fila in campionato che fanno rialzare la Samp dopo un inizio difficile, il pareggio in extremis a Udine, il gol vittoria contro l’Atalanta. Così in Coppa delle Coppe, quando il Brann si rivela più ostico del solito. Un uomo in più per Boskov, dunque, al netto di qualche infortunio di troppo che ne limiterà l’impiego, ma sempre decisivo per lo scudetto.
Che si tratti di intervenire per togliere palla all’avversario o per scegliere quando saltare in area di rigore o inserirsi da dietro, Srecko, con saggezza silenziosa lo sa: all’epoca il calcio era fatto di pochi concetti filosofici, giocasse ancora oggi si parlerebbe di lui come di “un giocatore bravissimo nelle scelte e nel leggere i momenti”.
E sceglie il miglior momento per segnare il gol vittoria, Katanec, anche nella stagione successiva: quando la sua squadra perde 5 partite su 6 e si ritrova incredibilmente nei bassifondi della classifica. Suo il gol dell’1 a 0 contro la Juve, trent’anni fa, il 15 dicembre 1991. Certo, discorso diverso in Champions, dove lo sloveno è comunque protagonista, in particolare con il gol dell’avvio della rimonta, proprio contro gli ex rivali della Stella Rossa Belgrado. Una soddisfazione sfumata: la più bella di sicuro. Srecko resta fino al ’94, il tempo di vincere ancora una Coppa Italia, seppur non da protagonista ormai. E poi la carriera da allenatore, della sua Slovenia in particolare: anche qui poche parole e un feeling non troppo grosso con chi parla tanto (vedi Zahovic), ma risultati pesanti come macigni. La storica qualificazione all’Europeo del 2000, dove giocherà contro il maestro Boskov e poi addirittura al mondiale, due volte, nel 2002 e nel 2014. Poche parole, ma l’anima silenziosa e pragmatica della Samp più bella.