SI tratta delle risorse inserite nel Fondo per della transizione industriale, previsto in manovra e istituito presso il Mise con una dotazione di 150 milioni di euro l’anno dal 2022. A chiederlo sono 50 docenti universitari: "non è una tecnologia socialmente accettabile”
Più di cinquanta docenti universitari e ricercatori ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica Mattarella e al premier Mario Draghi, contro l’ipotesi che le risorse del Fondo per della transizione industriale, previsto in manovra e istituito presso il Mise con una dotazione di 150 milioni di euro l’anno dal 2022, vadano a finanziare anche progetti di cattura, sequestro e riutilizzo di Co2 come quello di Eni, sui fondali al largo di Ravenna. Lo hanno fatto con una lettera aperta, nella quale si spiegano le ragioni per le quali l’uso e lo stoccaggio della Co2 (il cosiddetto CCUS, CarbonCapture Use and Storage) non è, secondo i firmatari, una tecnologia “socialmente accettabile”. Pensiero condiviso, tra l’altro, dai deputati di FacciamoECO Andrea Cecconi, Lorenzo Fioramonti, Alessandro Fusacchia, Antonio Lombardo e Rossella Muroni, che si dicono pronti a presentare un emendamento per escludere dal fondo gli interventi di cattura e stoccaggio Co2, qualora la misura non venga corretta al Senato. “I progetti di cattura della Co2 – commentano i parlamentari – sono molto costosi e da soli potrebbero ‘mangiarsi’ tutti i finanziamenti disponibili a questa voce, questa tecnologia non è matura e, soprattutto, così si manda il messaggio sbagliato che si può continuare ad inquinare. E si fa rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta del Pnrr, ossia il progetto Eni”.
L’appello a Mattarella e Draghi – Tra i firmatari dell’appello, il chimico Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club, Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale e comparato all’Università di Teramo, nonché cofondatore del Coordinamento Nazionale No Triv ed Enrico Gagliano, docente in Diritto dell’Energia e dell’Ambiente all’Università di Teramo, co-portavoce dei No Triv. “Il CarbonCapture Use and Storage per produrre idrogeno da metano è una tecnologia che anziché contribuire a risolvere il problema lo rende più grave e lo prolunga nel tempo” spiegano nella lettera, sottolineando che proporre lo stoccaggio e l’uso della Co2 “rappresenta un alibi straordinario” per continuare a produrre anidride carbonica, “perseverando scelleratamente a privatizzare utili e socializzare i costi” del disastro ambientale.
Chi paga i progetti e chi il ripristino ambientale – Le attività di produzione di energia sono responsabili del 75% delle emissioni di gas serra dell’Ue (EEA, 2021) ed oggi il sistema energetico dell’Unione si basa per tre quarti sui combustibili fossili. “La TransitionPathwayInitiative (TPI) afferma che nessuna big del petrolio, Eni un po’ meno delle altre, ha strategie coerenti con il raggiungimento dell’obiettivo dei +1,5 °C entro fine secolo rispetto ai livelli preindustriali, mentre i costi ‘esterni’ delle attività petrolifere sono ampiamente pagati dalla collettività” spiegano i docenti. Che si chiedono se sia “socialmente accettabile” che siano proprio le vittime delle emissioni di gas climalteranti a dover risarcire le compagnie “già abbondantemente assistite con 19 miliardi di euro l’anno di sussidi dannosi per l’ambiente, sopportando per una seconda volta il costo dell’abbattimento della Co2”. D’altro canto lo stoccaggio di Co2 in pozzi in via di esaurimento o già esauriti, inoltre, esime anche i concessionari di coltivazione dall’effettuare costosissime attività di ripristino ambientale: dai 15 ai 30 milioni di euro per singola piattaforma, secondo il Roca di Ravenna. “Considerato che le piattaforme di Eni in mare sono 138 – spiegano i docenti – riconvertirle piuttosto che smantellarle eviterebbe costi stimabili mediamente in oltre 3,15 miliardi di euro”
Una nuova linfa a gas e petrolio – Il rischio paventato è che l’iniezione e lo stoccaggio della Co2 nei pozzi in via di esaurimento o già esauriti diano nuova linfa alle attività estrattive di gas e petrolio. “Non è casuale – si legge nell’appello – che lo stoccaggio del carbonio sotterraneo su scala commerciale sia stato finora effettuato solo in giacimenti di petrolio o gas operativi e non in altre formazioni geologiche”. Per l’Europa, l’associazione Oil& Gas Europe ha fornito un elenco di progetti aggiornato a luglio 2021: solo tre progetti tra quelli in elenco sono operativi e tutti sono associati al recupero di petrolio o gas naturale. “La Co2 può essere iniettata in giacimenti di petrolio e gas esauriti (o quasi esauriti) per aumentare la loro pressione e fornire la forza trainante per estrarre petrolio e gas residui – spiegano docenti e ricercatori – mentre la Co2 iniettata rimane lì immagazzinata. Così facendo può essere estratto fino al 40% dell’olio residuo rimasto in un giacimento dopo la produzione primaria”. Gli studi Co2-Eor (Carbon Dioxide Enhanced Oil Recovery) del Massachusetts Institute Technology basati sui casi Weyburne e Apache Midale (Canada) hanno dimostrato che l’Eor (recupero assistito del petrolio) ha aumentato la produzione dal giacimento Weyburn di Cenovus di una quantità stimata tra i 16mila e i 28mila barili al giorno e da 2.300 a 5.800 barili al giorno per il giacimento di Apache Midale e che l’Eor dovrebbe consentire la produzione di ulteriori 130 milioni di barili di petrolio, prolungando la vita del giacimento di Weyburn di 25 anni. Senza considerare che cattura, trasporto e stoccaggio della Co2 sono parte di un processo circolare che vede al suo centro l’idrogeno blu (idrogeno da fonti fossili) i cui progetti hanno una durata pari ad almeno 25 anni e la cui produzione alimenterebbe “l’estrazione e il consumo di gas in un orizzonte temporale che si spinge fino al 2050”.