Le denunce delle suore che in convento subiscono abusi di potere, di coscienza e sessuali dalle loro superiore sono ormai tante. Ma cosa è stato fatto in concreto dalle istituzioni ecclesiastiche per porvi rimedio? Nulla o comunque troppo poco, soprattutto se si considera che questo tema non è più un tabù già da alcuni anni. La prima denuncia arrivò, nel marzo 2018, con un articolo di Marie-Lucile Kubacki pubblicato su L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Giovanni Maria Vian, sulle religiose sfruttate come domestiche da cardinali e vescovi, soprattutto all’interno della Curia romana. Papa Francesco, durante una riunione dei capidicastero, chiese di non trattare più le suore come serve, ma di assumere delle domestiche o dei domestici laici, indicando come esempio un porporato che da sempre ha una donna che tiene pulita e in ordine la sua casa e provvede ai suoi pasti quotidiani. Parole finora cadute nel vuoto.
Un anno dopo, nel febbraio 2019, la professoressa Lucetta Scaraffia, sul mensile al femminile del quotidiano del Papa, Donne Chiesa Mondo, scrisse degli abusi subiti dalle religiose. A distanza di quasi tre anni da quella denuncia lo scenario, a dir poco inquietante, non è per nulla cambiato come dimostrano le numerose testimonianze di suore abusate pubblicate nel recente libro Il velo del silenzio (San Paolo) di Salvatore Cernuzio, vaticanista di Vatican News. Lo stesso Bergoglio, ricevendo recentemente in udienza i partecipanti alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, il dicastero della Santa Sede che si occupa dei religiosi, ha di fatto certificato che ancora nulla è stato fatto in risposta alle tante denunce di queste violenze.
“Nel discernere e nell’accompagnare – ha spiegato il Papa – ci sono alcune attenzioni da tenere sempre vive. L’attenzione ai fondatori che a volte tendono ad essere autoreferenziali, a sentirsi gli unici depositari o interpreti del carisma, come se fossero al di sopra della Chiesa. L’attenzione alla pastorale vocazionale e alla formazione che si propone ai candidati. L’attenzione a come si esercita il servizio dell’autorità, con particolare riguardo alla separazione tra foro interno e foro esterno, tema che a me preoccupa tanto, alla durata dei mandati e all’accumulo dei poteri. E l’attenzione agli abusi di autorità e di potere. Su questo ultimo tema ho avuto in mano un libro di recente pubblicazione, di Salvatore Cernuzio sul problema degli abusi, ma non degli abusi eclatanti, sugli abusi di tutti i giorni che fanno male alla forza della vocazione”.
Come prevenire tutto ciò? Il gesuita padre Giovanni Cucci, che nel luglio 2020 ha scritto accuratamente di questo tema su La Civiltà Cattolica, ha indicato alcune strade percorribili. Per il religioso “dare alle vittime di abusi la possibilità di far sentire la loro voce è stato un altro passo decisivo perché le autorità prendano posizione, fino ad attuare programmi di prevenzione a livello di tutta la Chiesa. Il polverone sollevato dai media circa gli abusi sessuali dei preti, nonostante la sofferenza al riguardo, ha contribuito anche a creare una differente sensibilità al problema; in maniera analoga, pubblicando le testimonianze si spera che tale attenzione possa riguardare anche gli abusi di autorità e di coscienza, smascherando atteggiamenti ingannevoli e non in linea con i valori della vita religiosa, pur proclamati a parole. Tutto questo per mettere in atto passi concreti nei confronti di chi soffre e ha sofferto”.
Il sacerdote è, infatti, convinto che “parlare del problema è già un passo verso la guarigione, che richiede un clima di attenzione, accoglienza, ascolto, e persone preparate a questo difficile compito. A volte occorrono anni perché la vittima possa dire, a sé stessa prima che ad altri, la gravità di ciò che ha subito, e ne occorrono altrettanti (o forse più) per ‘rimettere insieme i pezzi’, tacitare i sensi di colpa (molto presenti nell’abuso) e ricollocare al giusto posto il ruolo, il potere e la responsabilità di chi ha abusato. Ma questo è solo un primo passo e ne richiede altri, altrettanto importanti, perché le vittime, in particolare le religiose costrette a uscire per gravi motivi di coscienza, possano usufruire delle possibilità di reinserimento in un nuovo ambiente. Oltre a essere un dovuto atto di giustizia, ciò rappresenta un esempio concreto di attenzione e accoglienza della sofferenza di queste persone, che desiderano in molti casi continuare la loro vita di consacrate. Per attuare un cambio di mentalità è indispensabile introdurre esplicitamente nel percorso formativo il tema della prevenzione degli abusi (nelle sue varie forme) e l’accompagnamento delle vittime”.