I costi energetici sono schizzati alle stelle e la Portovesme inizia la fermata dell’impianto zinco. L’azienda del gruppo Glencore lo aveva preannunciato da tempo: insostenibile il prezzo che il 17 dicembre ha raggiunto punte superiori ai 400 euro a megawattora. Tanto più per un’industria che, proprio con quel reparto, fa dell’energia elettrica quasi una “materia prima”.

E così l’azienda che garantisce 1300 buste paga tra diretti e appalti, con sede nella omonima località della Sardegna sud occidentale, ha avviato la procedura per lo spegnimento della linea più energivora: quella in cui si lavora la blenda dalla quale si ricavano ogni anno 150mila tonnellate di zinco, oltre la metà del fabbisogno nazionale. Uno stop che sarà completato in una decina di giorni e che avrà come conseguenza la messa in cassa integrazione a rotazione per 410 lavoratori diretti, a partire da lunedì 20 dicembre.

Davide Garofalo, amministratore delegato dell’azienda, non esita a dire che si tratta di una situazione frustrante. “Anche perché l’azienda è robusta e ha investito tanto, al punto da aver raggiunto il record di produzione. C’è sicuramente frustrazione nel prendere una decisione del genere, i ragazzi hanno fatto un lavoro eccezionale e speriamo sia una situazione temporanea, ma è chiaro che non abbiamo margine d’azione per risolvere il problema, se non quello di far andare al massimo il resto dello stabilimento, con le altre linee, e minimizzare i costi dell’impianto maggiormente dipendente dall’energia”.

La partita del caro energia si gioca su livelli più alti, che richiedono l’impegno di istituzioni italiane ed europee. “Per ora non c’è stato riscontro alle azioni proposte anche da Confindustria”, aggiunge l’amministratore delegato il quale fa anche sapere che il principale concorrente del gruppo ha annunciato proprio giovedì la chiusura di uno dei suoi tre stabilimenti. “Ciò è ulteriore conferma del fatto che il problema è di natura più generale”. Anche se fuori dai confini europei la musica è diversa e questo potrebbe costituire un rischio, nel momento in cui le aziende del Vecchio continente sono costrette a mettere i loro impianti in stand by.

“I costi energetici sono una vera mazzata visto che per un’azienda come la nostra l’energia è quasi una materia prima – dice Enrico Collu, capo del personale – 2 anni fa si arrivava, al massimo, a 80 euro a megawattora, oggi stiamo superando i 400. Fa rabbia pensare che un’azienda efficiente debba ridurre la sua produzione e dispiace per le conseguenze di carattere socio economico che ciò, inevitabilmente, comporterà alle famiglie”. Resta invariata la produzione nel resto dello stabilimento che, oltre allo zinco, produce piombo e ricava dalla lavorazione anche rame, argento, oro e acido solforico.

Se è vero che il caro energia è problema globale, non si può trascurare il fatto che la Sardegna fa i conti con la mancanza del gas. Proprio il paradosso sardo è stato urlato da un lavoratore della Portovesme dal palco di piazza dei Centomila, a Cagliari, durante la manifestazione nell’ambito dello sciopero generale del 16 dicembre. “Siamo l’unica Regione d’Italia e d’Europa che non ha metano – ha detto Matteo Roccasalva, delegato Filctem-Cgil e lavoratore turnista della fabbrica di piombo e zinco – l’azienda ha dichiarato la fermata di metà degli impianti a causa del caro energia e centinaia di lavoratori saranno in cassa integrazione a causa di un Governo che non sta trovando soluzioni strutturali per il problema delle tariffe energetiche. Che questa volta il problema sia su scala globale e stia investendo tutti è evidente. Ma lo è altrettanto il fatto che noi, in Sardegna, non abbiamo le stesse opportunità delle altre regioni italiane ed europee. La transizione energetica si fa con il lavoro, non con gli ammortizzatori sociali: è di questo che si parla quando un’azienda come la Portovesme ferma gli impianti”.

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