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Virtus-Fortitudo, il derby che sa raccontare Bologna. Dai playground alle osterie, fenomenologia di Basket City dalle voci dei tifosi

Bologna è la capitale del basket italiano. Le protagoniste sono Virtus e Fortitudo che domenica pomeriggio si affronteranno per la 111esima volta nella loro storia. Nella città “meno filo statunitense e più comunista d’Italia”, come spiega l’ex giocatore bianconero Giorgio Bonaga, la passione per uno degli sport considerati “più americani” è esplosa nel secondo Dopoguerra. Sotto le Due Torri il derby non si è mai giocato soltanto sul campo da basket ma anche nei bar, negli studi degli artisti, nei negozi o nelle cucine delle osterie. “Qui si vive molto in maniera guareschiana – spiega l’attore bolognese Giorgio Comaschi – Don Camillo e Peppone, la Chiesa e il Comune, la Virtus e la Fortitudo. Si litiga e poi alla sera si va a bere un bicchiere insieme perché questa è Bologna”.

Alla trattoria Bertozzi il derby va in scena tutti i giorni. I titolari Fabio Berti e Alessandro Gozzi tifano rispettivamente Fortitudo e Virtus da quando erano ragazzini. “Sostenere la Effe significava andare contro i dogmi della Bologna bene. Era una sfida tra i cowboy e gli indiani: non potevo stare con i cowboy” racconta Fabio mentre taglia la carne per il ragù. Dall’altro lato della sala Alessandro prepara i tavoli per il pranzo canticchiando un coro per per le Vu nere: “Mi portò mia zia al palazzo a vedere la Virtus e da lì è stato amore”. Il pubblico virtussino era tradizionalmente più “elitario” rispetto a quello più “ruspante” della Fortitudo. Ma quando anche i biancoblù hanno iniziato a vincere in Italia e a lottare in Europa questa differenza sembra essere venuta meno. “Dopo che abbiamo conosciuto l’inferno della retrocessione anche noi – spiega Alessandro – abbiamo tratto una nuova linfa perché tanti giovani hanno potuto riavvicinarsi alla squadra. Nella settimana del derby i clienti vengono apposta per prendersi gioco di uno dei due titolari a seconda della propria fede. “L’anno scorso quando hanno vinto lo scudetto mi sono ritrovato il locale pieno di virtussini che sono venuti apposta a festeggiare qui” racconta Fabio ricordando però la natura della Effe: “Noi siamo quelli con l’arco e loro hanno i fucili però se vinci contro di loro è come vincere venti partite di fila”.

Il derby si gioca poi nel campo musicale. Sulla sponda bianconera il tifoso numero uno era Lucio Dalla. “Ci siamo conosciuti quando avevamo dieci anni e giocavamo a pallacanestro” racconta l’ex giocatore virtussino Bonaga. “Era un giocatore discreto ma un grandissimo appassionato di Virtus”. Dall’altro lato invece tra i tifosi celebri ci sono Gaetano Curreri, Luca Carboni, Lodo Guenzi e Cesare Cremonini. E poi gli Skiantos che dedicarono una canzone a una delle magliette storiche della curva biancoblù: “Odio il Brodo”. A inventare lo sfottò era stato un ex giocatore della Effe, Nino Pellacani: “A quell’epoca la Virtus era sponsorizzata dalla Knorr – ricorda il lungo – e così disegnai la maglietta e la proposi alla società. All’inizio mi dissero di no ma poi fu stampata e divenne un cult”. Il derby si giocava anche e soprattutto sugli spalti tra sfottò e coreografie. “Quando scendevamo in campo ci chiedevamo che cosa si sarebbero inventati” racconta Alessandro “Picchio” Abbio, capitano della Virtus che nel 2001 riuscì a conquistare il “Grande slam”. Anche lui divenne l’oggetto di una maglietta di sfottò dopo la rissa in un derby di Eurolega. “Anch’io Picchio Abbio” recitava la t-shirt, prendendo spunto dal soprannome del cestista avversario. Era il 1998 e in quell’anno la Virtus vinse lo scudetto in gara cinque grazie a un “gioco da quattro punti” di Sasha Danilovic destinato a diventare un topos della rivalità. “Me lo ricordo ancora oggi” racconta l’ex portiere Gianluca Pagliuca, da sempre tifoso virtussino. Quel giorno era in ritiro con la nazionale in Svezia prima del mondiale di Francia ’98 e si fece fare la radiocronaca al telefono da un amico: “Quando mi ha detto quello che era successo non ci volevo credere” ricorda Pagliuca. Ai tempi in cui giocava nell’Inter, non perdeva occasione per andare al palazzo a vedere la sua Virtus ritrovando come avversari sugli spalti l’ex centravanti Fabio Bazzani e l’ex arbitro Pierluigi Collina, entrambi fortitudini.

“A Bologna si respira pallacanestro” racconta Bonaga ricostruendo la storia della pallacanestro cittadina. “È la città dell’inclusione. Da quando venne fondata l’Università nel 1088 è stata abituata ad accogliere sia persone sia fenomeni culturali come il jazz e la pallacanestro”. Una città che secondo Bonaga è “curiosa verso la diversità” e che quando ha conosciuto il basket ha allestito campi al chiuso in luoghi come la sala Borsa e all’aperto. “Sembra quasi di stare a New York se si va nei playground”. Il più famoso di tutti è quello dei Giardini Margherita. Qui dall’inizio degli anni Ottanta si gioca uno dei tornei estivi più importanti d’Europa. “Il bello del torneo è vedere lo scontro tra il giocatore professionista e quello dilettante” racconta il presidente dell’Asd Basket Giardini Margherita, Simone Motola. Su questo campetto di asfalto è accaduto anche che l’ex Nba e Virtus Michael Ray “Sugar” Richardson venisse stoppato da Paolo Zanardi, giocatore della B2, oppure che la medaglia d’oro del salto in alto Gianmarco Tamberi venisse a schiacciare “coronando un sogno”. Negli altri mesi dell’anno il campo ha però un ruolo sociale che favorisce l’inclusione di tante persone. Studenti fuorisede e migranti vengono qui a fare due tiri. “Qui non ci sono differenze – precisa Motola – non esistono il bianco e il nero o il ricco e il povero”. Il basket in città ha anche questa funzione: non solo nei playgrond ma anche in tante associazioni che lavorano sul tema della disabilità e dell’inclusione. “C’è una basket city anche nel sociale” conclude il giornalista bolognese Marco Tarozzi. Dalla polisportiva San Mamolo alla Psg Welcome fino alla Fortitudo per il sociale, una costola della società di serie A dedicata ai progetti di solidarietà. “Questa città ha saputo fondere l’amore per il basket a quello per il volontariato sociale. Il risultato sono tanti progetti che non sono degli spot ma lavorano quotidianamente per una città migliore”.