“A seguito dell’entrata in vigore del decreto sulla presunzione d’innocenza è necessaria la definizione di linee guida nazionali, chiare e trasparenti, per garantire il diritto dei cittadini di essere compiutamente informati in relazione ai procedimenti penali”. È questo l’oggetto della lettera inviata dal presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, al vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura e al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Il presidente dell’Odg, in pratica, chiede un intervento urgente finalizzato ad evitare il rischio che possa “calare il silenzio sulle inchieste, magari proprio quelle a carico di personaggi importanti”.
L’oggetto della missiva è legato al decreto legislativo “sulla presunzione di innocenza” approvato alcune settimane fa dal Consiglio dei ministri, che impone pesanti restrizioni alla comunicazione delle autorità giudiziarie, prevedendo – tra le altre cose – che “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali” sia consentita “solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini” e che le conferenze stampa dei procuratori capi possano tenersi solo “nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti”. Si tratta, nei fatti, di un vero e proprio bavaglio agli investigatori che ha effetti impliciti sull’attività dei cronisti. Solo che durante la discussione nella norma in commissione Giustizia alla Camera, l’ordine dei giornalisti non ha accennato alcun tipo di protesta (mentre per esempio l’Associazione nazionale magistrati ha pubblicamente criticato la legge). Addirittura nè l’Odg nè la Federazione italiana della stampa si erano presentati a dire la propria in audizione, pur convocati. Al Fatto che gli chiedeva il perché, l’allora presidente dell’Odg Carlo Verna rispondeva di non aver avuto tempo di prepararsi: “Non siamo soliti improvvisare su certi temi così importanti. Abbiamo mandato le nostre carte deontologiche, però non riteniamo che sia un dibattito al quale non possiamo partecipare se prima non ci danno il tempo di discuterne al nostro interno“. Mentre il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, si giustificava con l’agenda troppo piena: “Siamo pieni di vertenze, non abbiamo avuto modo di approfondire il tema. Avremmo anche degli altri impegni, non è che siamo lì ad aspettare le convocazioni della commissione”.
Ora il nuovo presidente dell’Ordine dei giornalisti si è accorto di dovere dire qualcosa. “Bartoli – si legge in una nota dell’Ordine – pur condividendo l’obiettivo nobile che si pone il decreto 188 del 2021, ovvero quello di assicurare ‘il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili’, ha evidenziato le forti preoccupazioni dei giornalisti di fronte ad un provvedimento che concentra nelle mani di una sola persona – il Procuratore della Repubblica – la possibilità di scelta di quali notizie l’opinione pubblica debba conoscere e quali no, senza alcun controllo o bilanciamento di sorta, con il rischio di pericolosi bavagli”.
Il presidente dei giornalisti, “in attesa che la normativa possa essere rivista e modificata”, ah quindi scritto al Csm e al Pg della Cassazione affinché “forniscano indicazioni per limitare al minimo la discrezionalità dei Procuratori nella diffusione delle informazioni alla pubblica opinione ed evitare il rischio di pericolose ‘censure’ su temi di estrema delicatezza e di rilevante interesse pubblico“. Nella nota dell’ordine viene poi ricordato come l’articolo 114 del Codice di procedura penale stabilisca che “è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”. E lo stesso Csm nel 2018 ha emanato le “Linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale” nelle quali si prevede che per esercitare il diritto costituzionale di informazione, che è garantito dall’articolo 21, il procuratore della Repubblica debba evitare che “possano essere sottratte alla conoscenza dell’opinione pubblica informazioni di interesse (in ragione della qualità dei soggetti coinvolti dalle indagini o della rilevanza dei fatti oggetto di accertamento)”.