Esraa ha 30 anni, è mamma di tre bambini e viene dall’Egitto: a Milano ha imparato a prendersi cura delle piante in un orto tra i palazzi, a cucinare lasagne, gnocchi e pesto, facendo nuove amicizie. Lot ha lasciato la Nigeria per colpa della crisi: tutti i giorni si alza alle 7 per andare a coltivare, i n un campo appena fuori Perugia, pomodori e okra, un ortaggio che ricorda profumi e sapori della sua Africa. Oltre alle verdure fa crescere anche il proprio futuro. Abdì ha 58 anni ed è scappato dalla guerra in Somalia con la sua numerosa famiglia: nel suo Paese insegnava il corano ai bambini e lavorava la terra, a Ragusa fa il contadino e il suo sogno è avere un giorno un campo tutto suo per poter coltivare melanzane, fave, cipolle, aglio, lattuga e datteri.
Tre volti e tre storie diverse uniti però da uno stesso denominatore, essere beneficiari del progetto “Coltiviamo l’integrazione”, finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione del Ministero dell’Interno con capofila Tamat NGO, in collaborazione con Associazione i Tetti colorati Onlus di Ragusa, Fondazione ISMU, Associazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia e Cardet. L’obiettivo del progetto, iniziato nel 2018 e concluso nel dicembre 2021, è quello di fornire ai migranti degli strumenti di integrazione sociale, culturale ed economica. Come? Attraverso l’agricoltura che può fornire loro anche competenze utili al loro futuro. Ma non solo. Le associazioni che lavorano a Perugia, Milano e Ragusa hanno infatti anche previsto laboratori strutturati sia per insegnare la lingua italiana, compreso il linguaggio specifico correlato al mondo del lavoro, sia il sapere tecnico e pratico relativo al campo dell’agricoltura.
Il documentario è stato presentato durante l’evento conclusivo del progetto insieme a una mostra fotografica online “Inside”, (realizzata da Sheldon.studio) con gli scatti di Stefano Schirato: un racconto per immagini del progetto attraverso i ritratti dei beneficiari e delle loro storie, i prodotti usati e il reportage su luoghi e attività svolte durante i laboratori di Perugia, Milano e Ragusa.
“Negli anni del progetto abbiamo sostenuto oltre 50 persone”, spiega il coordinatore Domenico Lizzi, di Tamat. “La maggior parte di loro erano richiedenti asilo, dopo aver seguito i nostri laboratori molti hanno trovato lavoro nel mondo dell’agricoltura, altri hanno seguito altre strade, ma con un bagaglio di conoscenza della lingua e di competenze in più. La forza del nostro progetto non è solo quella di favorire un’inclusione economica, ma mettere i migranti in relazione con la comunità locale per realizzare davvero un’inclusione sociale. La diversità crea un valore aggiunto e dall’incontro di culture differenti nascono nuove opportunità sia per i beneficiari sia per i volontari”. Come simbolo del progetto si può prendere il vasetto di okra in agrodolce che alcuni migranti hanno prodotto nel laboratorio di Perugia: unisce un ortaggio africano alla tradizione dei sottoli italiana creando una ricetta mai sperimentata prima, ma ottima.