Politica

In Italia non governa il Parlamento ma la burocrazia!

“Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione quindi è eccellente”. Così diceva Mao Tse-tung, riprendendo forse una massima di Confucio, in riferimento alla tanto caotica quanto favorevole (ai suoi propositi rivoluzionari) condizione della società cinese tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta.

La confusione, che oggi regna sovrana in Italia, a chi rende la situazione eccellente?
All’alta burocrazia sicuramente, che da quando è scoppiata la pandemia governa il Paese in modo palese senza doversi più preoccupare di trovare le giuste coperture parlamentari. Sì, perché anche se ormai sembra un argomento totalmente dimenticato, l’Italia formalmente sarebbe ancora una “repubblica parlamentare”, dove la democrazia rappresentativa si realizza attraverso la possibilità per i cittadini di scegliere chi deve rappresentarli. Qui sorge la prima grande confusione, perché gli italiani non hanno in realtà alcuna possibilità di scelta dei propri rappresentanti alla Camera e al Senato. Deputati e senatori sono sempre scelti dalle segreterie di partito attraverso il meccanismo delle nomine e delle liste bloccate.

Per capirci, la Boschi è stata piazzata dal Pd nel collegio sicuro di Bolzano, Salvini è stato eletto in Calabria (immaginate se qualcuno glielo avesse detto 20 anni fa) e l’ex ministro Azzolina è stata ripescata dal listino piemontese in cui era candidata perché il M5s aveva preso in Campania (e anche in Sicilia) più voti rispetto ai candidati disponibili.

Diceva Giorgio Gaber che la democrazia “fa sì che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni. E che se lo incontri, ti dice giustamente: ‘Lei non sa chi sono io'”. Mi sa che aveva ragione e nonostante le tante sollecitazioni dal basso (pensate che l’introduzione delle preferenze fu, insieme all’esclusione dal Parlamento dei condannati e il limite dei due mandati, uno dei temi della raccolta firme del primo V-Day, che lanciò il percorso verso la nascita del M5s) la questione della rappresentanza democratica sembra essere scomparso dalle nostre vite e dai nostri pensieri.

Ad aggravare il gap democratico contribuisce un altro importante fattore: questo Parlamento viene sistematicamente spogliato delle sue funzioni. Perché non soltanto spesso gli viene negata l’iniziativa legislativa, ma anche quando dovrebbe discutere e modificare i provvedimenti governativi viene umiliato attraverso la “fiducia”, istituto di cui tutti i governi abusano per blindare le proprie decisioni e azzerare la discussione democratica.

Se la democrazia rappresentativa è messa male, meglio non far menzione degli strumenti di democrazia diretta come i referendum. Negli ultimi 10 anni gli italiani si sono espressi in maniera chiara contro la privatizzazione dell’acqua e contro il nucleare. Ma le dichiarazioni dei portavoce dei grandi poteri dello Stato sembrano lasciar intendere che quella consultazione non abbia alcun valore reale e possa essere superata in ogni momento.

In questo contesto così meravigliosamente democratico la burocrazia, affermando la sua supremazia, gestisce senza interferenze di alcun tipo, questioni di vitale importanza per le nostre vite (come la gestione della pandemia, da sempre in mano a burocrati) e per il futuro delle prossime generazioni (come gli investimenti del Pnrr e le riforme).

La confusione sotto il cielo ha generato una situazione senza precedenti nel mondo occidentale che probabilmente sarà in futuro oggetto di approfondimenti di politologi e studiosi di scienze politiche in giro per il Globo. La composizione del Parlamento attuale, infatti, è stata definita dal voto degli italiani nel 2018, che sancì la bocciatura dei vecchi partiti di sistema (Pd e FI in primis) e la vittoria delle forze considerate antisistema e populiste (il M5s con oltre il 32% e la Lega prima nella coalizione di centrodestra con il 17%). Queste due forze, seppur molto diverse, insieme raggiungevano la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento e diedero vita, attraverso la virtuosa esperienza del contratto di governo, alla cosiddetta maggioranza gialloverde, una novità assoluta ma anche una sorta di spauracchio per tutti gli equilibri di potere che fin lì il falso bipolarismo aveva garantito.

Eppure, come per magia, nella stessa legislatura che aveva sancito la vittoria dei populisti anti sistema, si è realizzata una maggioranza ancora più subalterna alla tecnocrazia di quella che sostenne il governo Monti. Gli stessi partiti, gli stessi parlamentari, nella stessa legislatura, sono passati dal un lato all’altro della barricata con una capacità di giustificazione difficilmente pareggiabile se ci fosse una gara globale.

Pensate che nel governo Draghi c’è gente che lo accusava di essere un “bankster” (ibrido tra banker e gangster) che andava arrestato e altri che consideravano atti criminali quegli stessi provvedimenti che oggi, proposti dal santissimo Mario, in religioso silenzio sostengono (come la proroga dello stato d’emergenza).

Insomma, mi sa che oltre a Gaber aveva ragione anche Mark Twain, quando diceva che “se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare”. In effetti gli italiani hanno votato massicciamente qualcuno e qualcosa per essere poi rappresentati e governati dal suo esatto opposto. A parte qualche mosca bianca, qualche urlatore nel deserto che si dimena mentre va in scena la gara ad accreditarsi come meno peggio, appare piuttosto evidente che nonostante gli spazi lasciati liberi (manca un grande partito liberale, un grande partito ecologista e adesso anche un grande partito antisistema in Italia) al momento vi è un’offerta politica poverissima e tutta schiacciata su diverse sfumature dello stesso colore.

La vittoria schiacciante della burocrazia sulla democrazia sembra un dato assodato ed incontrovertibile in questo momento, ma si sa che le cose in politica cambiano in fretta e dovrebbe essere interesse di ogni singolo cittadino provare a far qualcosa per riconquistare gli spazi democratici che si stanno chiudendo nel gran silenzio generale.