E’ da qualche giorno che la notizia della morte dei due bambini bulgari nel campo nomadi a Stornara mi tormenta. Sapere che un papà e una mamma hanno perso i loro figli in un rogo non mi lascia in pace. E ancor più, mi angustia aver notato che il giorno dopo la tragedia, solo il quotidiano L’Avvenire ha “aperto” la prima pagina con questa notizia.
In queste ore mi chiedo: se fossero stati bambini italiani a morire in un incendio nella loro casa? Se invece che bulgari, i due fratellini di due e quattro anni fossero stati francesi, sarebbe cambiato qualcosa? E se quei due minori, anziché avere un papà 27enne che raccoglie olive (magari in nero), avessero avuto un padre avvocato, professore o giornalista, forse si sarebbe parlato molto più di loro? E ancora: ci sarà qualche rappresentante del governo al funerale di questi minori morti ammazzati dall’indifferenza? Nessuno degli abitanti di Stornara o dei paesi vicini passando vicino a quel campo rom ha mai pensato che sarebbe potuta accadere una tragedia simile?
Stasera, mentre scrivo queste parole, penso che ad ammazzare quei bambini sono stato io. Sono stato io che, quando in tangenziale a Milano passo con la mia auto accanto a un campo rom, mi sento rassegnato, impotente e non prendo più nemmeno in mano la penna per scrivere un articolo, una mail al sindaco, all’assessore. Sono io, che ogni volta che mi fermano al semaforo dei rom faccio loro un sorriso, scambio due parole ma qualche secondo più tardi li ho già dimenticati. Sono io ad aver ammazzato quei bambini, perché se fosse accaduto a dei minori italiani magari avrei preso un treno, un volo aereo, per partecipare ai funerali e abbracciare i giovani genitori.
Proprio nei giorni scorsi L’Avvenire ha lanciato un appello di denuncia sottoscritto da giornalisti, scrittori, docenti universitari ed esponenti del mondo delle professioni, sulla discriminazione delle persone rom, sinti e camminanti, in particolare nella città di Roma. Nell’appello si dice: “La Costituzione, le leggi vietano il razzismo, perciò ci indigniamo giustamente per i rigurgiti di antisemitismo, o quando il diritto di asilo viene ignorato. Ma chi si indigna, nei media, tra gli intellettuali, nella politica, se si pratica un ferreo apartheid nei confronti di rom, sinti e camminanti? E quante calunnie, quanti pregiudizi, azioni discriminatorie, sottrazioni di bambini alle loro famiglie saranno necessari perché ci si renda conto che nel nostro Paese c’è una minoranza sistematicamente discriminata e perseguitata? Che per andare a scuola i bambini faticano il doppio degli altri? Ma chi li vede come scolari? Chi li ascolta? E chi sa quanti bambini rom e sinti che pure sono inseriti a scuola e vogliono frequentare si trovano senza libri e materiale scolastico perché i genitori spesso non hanno neanche i soldi per garantire il mangiare?”.
Oggi più che mai queste domande ci devono angosciare, perché fin quando saremo così indifferenti persino alla morte di un bambino, solo perché rom, non potremo dire di vivere in un paese civile.