Per ottenere un dollaro servono 14,9 lire turche. Nelle ultime 4 settimane la valuta ha perso oltre il 30%. Disagi e proteste rischiano di minare la popolarità del presidente che guarda alle elezioni del 2023. Il rischio che la situazione possa finire rapidamente fuori controllo
Giornata di passione per la lira turca che oggi è arrivata a perdere oltre il 10% nei confronti del dollaro toccando un nuovo minimo storico. La valuta ha recuperato tutti i cali dopo che presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato misure straordinarie per arginare il crollo e tentare di difendere risparmi e potere d’acquisto per la popolazione. In sostanza se la perdita di valore della lira dovesse superare gli interessi pagati sui depositi la differenza sarà compensata dallo Stato, in sostanza posto a carico quindi di tutta la collettività. Secondo gli osservatori si tratta di una sorta di rialzo dei tassi mascherato che tuttavia mette a rischio le finanze pubbliche del paese.
Attualmente per ottenere un dollaro servono circa 14 lire turche, a metà giornata ne servivano quasi 18. La borsa, dopo lo stop di venerdì scorso, ha di nuovo sospeso le contrattazioni a causa di un calo generalizzato delle quotazioni. Dallo scorso settembre la lira ha perso poco meno del 50% nei confronti del dollaro, con una discesa di oltre il 30% solo nelle ultime 4 settimane. In precedenza Erdogan aveva affermato che non ci sarà nessun passo indietro nella politica monetaria espansiva che da tempo sostiene energicamente e in contrasto con gli approcci economici classici. Negli ultimi 4 mesi la banca centrale turca ha operato 4 tagli ai tassi di interesse.
Politiche monetarie espansive aiutano la crescita ma favoriscono anche l’inflazione che nel paese supera ormai il 21%. Ieri Erdogan aveva difeso il suo approccio sui tassi giustificandolo con i dettami del Islam che “vietano l’usura”. In passato il presidente turco ha ripetutamente accusato investitori stranieri, indicati come la “lobby dei tassi”, di congiurare contro il paese puntando a minarne la crescita economica spingendo per un rialzo del costo del denaro.
La forte inflazione rende gli acquisti di beni dall’estero estremamente costosi, condizione che sta creando difficoltà nelle catene degli approvvigionamenti e “importa” inflazione. La scorsa settimana il Erdogan ha inoltre annunciato un incremento del salario minimo del 50%. Il rischio è che i salari inizino a inseguire i prezzi che a loro volta inseguono i salari, il classico circolo vizioso che rischia di finire fuori controllo. Il costo dei credit default swap (prodotti finanziari che consentono di assicurarsi contro il fallimento di un paese o una società, ndr) è quasi raddoppiato rispetto ad inizio anno.
Erdogan ha anche affermato che riporterà l’inflazione al 4% e che quella che sta combattendo è una “guerra per l’indipendenza economica”. Il presidente è convinto che riuscirà con le sue politiche a spingere export, crescita economica ed investimenti. Osservatori esterni si attendono però che l’inflazione raggiungerà rapidamente il 30%. Nel paese si moltiplicano le manifestazioni di protesta per i rapidi e forti rincari, anche di molti beni di prima necessità. Alcuni collegamenti navali nello stretto del Bosforo sono stati bloccati perché i costi dei carburanti sono eccessivi. Una pericolosa perdita di popolarità per Edogan, al potere da 20 anni ma che punta ad una riconferma nelle elezioni del 2023.